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Pueraria lobata: una specie invasiva da eradicare e un’occasione di confronto
Figura 1
Fonte: IPLA
Figura 2
SPECIE VEGETALI ESOTICHE INVASIVE: Heracleum mantegazzianum
Figura 4
CIMICE ASIATICA (Halyomorpha halys)
Figura 5
SPECIE INVASIVE
Una delle principali cause, riconosciute a livello internazionale (Convenzione sulla Biodiversità di Rio de Janeiro del 5 giugno 1992), della riduzione del livello di biodiversità, è rappresentato dalla presenza e dallo sviluppo di specie esotiche invasive.
Per specie esotiche si intendono le specie introdotte al di fuori del loro naturale areale distributivo attuale o passato, che se presentano caratteristiche di invasività determinano minacce alla biodiversità, danni alle attività dell’uomo (ad es. agricoltura) ed effetti sulla salute umana con serie conseguenze socio-economiche e sui servizi ecosistemici.
L’importanza di contrastare la presenza di specie esotiche invasive è stata sancita anche da un recente Regolamento Europeo n. 1143/2014 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 22 ottobre 2014 recante disposizioni volte a prevenire e gestire l’introduzione e la diffusione delle specie esotiche invasive, recepito in Italia con il D. Lgs. 230/2017.
In particolare il Regolamento verte su un elenco di specie esotiche invasive di preoccupazione comunitaria (species of EU concern), che sono bandite dall'Unione Europea (divieto di importazione, possesso, trasporto e commercio oltre che a obblighi di controllo). Il suddetto elenco è stato approvato con Regolamento di esecuzione (UE) 2016/1141 della Commissione. I paesi potranno sviluppare liste nazionali, alle quali potranno essere applicate le stesse regolamentazioni previste a scala comunitaria e dovranno identificare i principali vettori di arrivo di specie invasive, sui quali saranno poi chiamati a produrre piani d’azione per prevenire ulteriori introduzioni. Infine si istituisce uno Scientific Forum per dare supporto al processo decisionale e si prevedono meccanismi di cooperazione tra Paesi che condividono una specie invasiva.
Per le specie dell’elenco unionale e per altra documentazione in merito si veda https://www.mite.gov.it/pagina/specie-esotiche-invasive oppure https://www.lifeasap.eu/index.php/it/
Per le specie dell’elenco unionale e per altra documentazione in merito si veda https://www.mite.gov.it/pagina/specie-esotiche-invasive oppure https://www.lifeasap.eu/index.php/it/
Pueraria lobata: una specie invasiva da eradicare e un’occasione di confronto
Pueraria lobata (nome volgare: kudzu) è una specie lianosa invasiva di origine asiatica, introdotta a scopo ornamentale, ha una crescita estremamente rapida (crescita giornaliera fino a 26 cm, annua 20 m), colonizza una grande varietà di ambienti naturali e semi-naturali come scarpate ferroviarie e stradali, boschi, praterie, aree riparie e zone umide. Può creare coperture estremamente fitte e ampie, inibire la crescita di altre specie, e soffocare aree boscate coprendo anche boschi con esemplari di notevoli dimensioni.
È stata inserita nell’elenco unionale delle specie invasive ai sensi del Regolamento Europeo n. 1143/2014 e pertanto è una di quelle specie su cui le regioni (ai sensi del DLgs 230/17), in accordo con ISPRA, devono applicare misure di gestione (se già molto diffuse sul territorio regionale) o di eradicazione (se con distribuzione circoscritta o di nuova segnalazione per il territorio regionale).
In Piemonte questa specie ha una distribuzione limitata ad alcune stazioni in provincia di Novara, nel VCO e una stazione nel vercellese, pertanto si tratta di una specie su cui potrebbe valer la pena attuare misure urgenti di eradicazione. Tali interventi sono però piuttosto complicati in quanto questa specie presenta organi sotterranei molto sviluppati sui quali bisogna agire con tagli molto precisi per evitare la sua moltiplicazione e una parte area molto sviluppata costituita da un intrico molto fitto di rami e foglie difficile da eliminare con normali tecniche di taglio e sfalcio.
È stata inserita nell’elenco unionale delle specie invasive ai sensi del Regolamento Europeo n. 1143/2014 e pertanto è una di quelle specie su cui le regioni (ai sensi del DLgs 230/17), in accordo con ISPRA, devono applicare misure di gestione (se già molto diffuse sul territorio regionale) o di eradicazione (se con distribuzione circoscritta o di nuova segnalazione per il territorio regionale).
In Piemonte questa specie ha una distribuzione limitata ad alcune stazioni in provincia di Novara, nel VCO e una stazione nel vercellese, pertanto si tratta di una specie su cui potrebbe valer la pena attuare misure urgenti di eradicazione. Tali interventi sono però piuttosto complicati in quanto questa specie presenta organi sotterranei molto sviluppati sui quali bisogna agire con tagli molto precisi per evitare la sua moltiplicazione e una parte area molto sviluppata costituita da un intrico molto fitto di rami e foglie difficile da eliminare con normali tecniche di taglio e sfalcio.
Figura 1
Presenza della Pueraria lobata in Piemonte
Fonte: IPLA
Figura 2
Pueraria lobata
Monitoraggi e interventi su altre specie invasive
Per quanto riguarda la gestione di altre specie esotiche inserite in lista nera, Arpa Piemonte ha continuato l’attività di monitoraggio di Myriophyllum aquaticum lungo il fiume Po (link acqua specie invasive) e delle stazioni di Heracleum mantegazzianum nei comuni di Sant’Antonino di Susa (TO), Formazza (VB) e Ceresole Reale (TO), dove ha coordinato e supervisionato gli interventi di contenimento della specie condotti dalle squadre degli operai forestali della Regione Piemonte.
Per quanto riguarda la gestione di altre specie esotiche inserite in lista nera, Arpa Piemonte ha continuato l’attività di monitoraggio di Myriophyllum aquaticum lungo il fiume Po (link acqua specie invasive) e delle stazioni di Heracleum mantegazzianum nei comuni di Sant’Antonino di Susa (TO), Formazza (VB) e Ceresole Reale (TO), dove ha coordinato e supervisionato gli interventi di contenimento della specie condotti dalle squadre degli operai forestali della Regione Piemonte.
SPECIE VEGETALI ESOTICHE INVASIVE: Heracleum mantegazzianum
Nel 2018 l’Agenzia ha proseguito il monitoraggio di Heracleum mantegazzianum, ombrellifera alloctona originaria del Caucaso inclusa nelle Liste nere di cui alla DGR 33-5174 del 12/06/17 e nell'elenco delle specie invasive di rilevanza unionale di cui al DLgs 230/17, la cui presenza determina un rischio sanitario per la popolazione a causa delle fotodermatiti da contatto provocate dalle furanocumarine prodotte dalla pianta.
L'attività, che proseguirà anche nei prossimi anni, riguarda le tre stazioni attualmente note per il Piemonte ed è stata avviata, di concerto con il gruppo regionale sulle specie esotiche vegetali, nel 2016 in comune di Formazza (VB), per essere successivamente estesa nel corso del 2017 a Sant’Antonino di Susa (TO) e, nel 2018, al territorio comunale di Ceresole Reale (TO).
Sia a Formazza che a Ceresole R. è stato possibile risalire con certezza alle modalità di introduzione della specie, che, in entrambi i casi, si è diffusa a partire da esemplari, quasi sempre poi rimossi, coltivati in giardini privati.
Ad una prima fase durante la quale è stata definita l'entità delle stazioni presenti (quella più estesa vegeta lungo l'asta del Fiume Toce nel comune di Formazza), costituite nella maggior parte dei casi da piccoli nuclei di piante poste nelle immediate vicinanze di corsi d'acqua, la cui presenza può favorire l'espansione della specie trasportandone a valle i semi, è seguita quella della gestione attiva della specie, per la quale è ancora realisticamente perseguibile l'obiettivo della completa eradicazione, sebbene in un arco temporale al momento non facilmente quantificabile.
A partire dal 2017 sono stati effettuati, per lo più dalle squadre degli operai forestali regionali, interventi di sfalcio ed estirpazione degli esemplari individuati, che in alcuni casi superavano i due metri di altezza.
I primi risultati sembrano attestare una per ora modesta contrazione numerica delle stazioni (dovuta probabilmente sia alla notevole capacità di ricacciare da parte della porzione ipogea degli individui trattati, non sempre di semplice rimozione, che alla presenza della specie nella banca semi del terreno), la cui produzione di semi è però stata drasticamente ridotta, se non azzerata, grazie agli interventi effettuati, eseguiti sempre prima che le piante potessero completare la fioritura.
L'attività, che proseguirà anche nei prossimi anni, riguarda le tre stazioni attualmente note per il Piemonte ed è stata avviata, di concerto con il gruppo regionale sulle specie esotiche vegetali, nel 2016 in comune di Formazza (VB), per essere successivamente estesa nel corso del 2017 a Sant’Antonino di Susa (TO) e, nel 2018, al territorio comunale di Ceresole Reale (TO).
Sia a Formazza che a Ceresole R. è stato possibile risalire con certezza alle modalità di introduzione della specie, che, in entrambi i casi, si è diffusa a partire da esemplari, quasi sempre poi rimossi, coltivati in giardini privati.
Ad una prima fase durante la quale è stata definita l'entità delle stazioni presenti (quella più estesa vegeta lungo l'asta del Fiume Toce nel comune di Formazza), costituite nella maggior parte dei casi da piccoli nuclei di piante poste nelle immediate vicinanze di corsi d'acqua, la cui presenza può favorire l'espansione della specie trasportandone a valle i semi, è seguita quella della gestione attiva della specie, per la quale è ancora realisticamente perseguibile l'obiettivo della completa eradicazione, sebbene in un arco temporale al momento non facilmente quantificabile.
A partire dal 2017 sono stati effettuati, per lo più dalle squadre degli operai forestali regionali, interventi di sfalcio ed estirpazione degli esemplari individuati, che in alcuni casi superavano i due metri di altezza.
I primi risultati sembrano attestare una per ora modesta contrazione numerica delle stazioni (dovuta probabilmente sia alla notevole capacità di ricacciare da parte della porzione ipogea degli individui trattati, non sempre di semplice rimozione, che alla presenza della specie nella banca semi del terreno), la cui produzione di semi è però stata drasticamente ridotta, se non azzerata, grazie agli interventi effettuati, eseguiti sempre prima che le piante potessero completare la fioritura.
Figura 4
Piante di Heracleum mantegazzianum lungo l’alveo di un torrente
Per maggiori informazioni in merito alle specie invasive, consulta la pagina ad esse dedicata nella sezione Acqua.
CIMICE ASIATICA (Halyomorpha halys)
La cimice asiatica Halyomorpha halys è un insetto originario dell’Asia orientale, dove si comporta come fitofago occasionale su svariate colture, oltre che su piante spontanee ed ornamentali. La specie venne segnalata per la prima volta in Italia nel 2012, in provincia di Modena, mentre in Piemonte la prima segnalazione risale all’agosto 2013, in un impianto di nettarine ubicato nel Comune di Cuneo.
Nel giro di pochi anni la cimice asiatica si è espansa a macchia d’olio in tutto il territorio piemontese: la sua diffusione, come accade di norma per le specie alloctone, è stata facilitata dalla totale assenza di antagonisti efficienti e specifici.
Nel giro di pochi anni la cimice asiatica si è espansa a macchia d’olio in tutto il territorio piemontese: la sua diffusione, come accade di norma per le specie alloctone, è stata facilitata dalla totale assenza di antagonisti efficienti e specifici.
Figura 5
Femmina di cimice asiatica
fotografata su una foglia di fagiolo nel laboratorio della Fondazione Edmund Mach, Italia
Fonte: Wikipedia
La cimice asiatica attacca i frutti dalla loro comparsa alla raccolta, provocandone la cascola o malformazioni che rendono il prodotto non più commerciabile e in casi estremi neppure utilizzabile come materia prima per trasformazioni industriali. Le coltivazioni più a rischio sono quelle con maturazione e raccolta nel periodo estivo-autunnale, mentre le coltivazioni precoci subiscono meno danni perché raccolte prima dell’incremento estivo delle popolazioni della cimice.
In Piemonte gli attacchi hanno interessato, come nelle altre regioni dell’Italia settentrionale, un numero crescente di colture con relativo incremento dei danni economici causati. In pochissimi anni la cimice asiatica è diventata l’avversità entomologica più grave per numerose colture, sia per i danni che può arrecare, sia per la difficoltà nel controllarne le popolazioni.
Le possibilità di difesa attiva sono modeste, a causa dell’estrema mobilità degli adulti e della buona capacità di spostamento anche degli stadi giovanili: gli insetticidi a disposizione sono quelli ad azione per contatto, la loro efficacia risulta non particolarmente elevata contro gli adulti (che possono sfuggire al contatto diretto al momento del trattamento volando via), mentre l’azione residua nei giorni successivi al trattamento è molto ridotta, anche per le temperature elevate del periodo estivo. Inoltre, in certe colture, come il nocciolo, la densità della chioma ostacola una buona distribuzione della soluzione insetticida, diminuendo la possibilità di colpire direttamente l’insetto.
Il nocciolo è una delle specie più interessate dalle infestazioni di cimice asiatica: essa è in grado di attaccare i frutti in formazione per un periodo di tempo molto lungo, fino alla raccolta. Mentre nel passato le infestazioni delle cimici autoctone risultavano limitate e richiedevano al massimo uno o due trattamenti insetticidi specifici in areali circoscritti caratterizzati da una loro maggior presenza, la diffusione della cimice asiatica ha creato gravi problemi per l’estensione territoriale e l'entità degli attacchi, con conseguenti elevate percentuali di cimiciato (macchie superficiali sul seme causate dalle punture di nutrizione della cimice) in tutte le aree di coltivazione del nocciolo. Le difficoltà di contenimento delle popolazioni, pur a fronte di numerosi trattamenti insetticidi, sono dovute, oltre che alle caratteristiche etologiche della cimice asiatica, alla difficoltà di raggiungere con la soluzione insetticida giovani e adulti su piante di taglia elevata e con vegetazione particolarmente densa.
Fra le drupacee, oltre al pesco la cimice attacca ciliegio, albicocco e susino; i danni maggiori sono causati su molte varietà di pero, sul nashi (pero giapponese) e su diverse varietà di mele. Nelle ultime annate sono aumentati anche gli attacchi su kiwi, in particolare su quello a polpa gialla. La copertura con reti degli impianti da frutto non ha sempre dato risultati soddisfacenti nel contenimento dei danni alla raccolta, ma ha sicuramente comportato un aggravamento di costi per le aziende.
Gli attacchi della cimice asiatica interessano anche le colture orticole e i piccoli frutti: i danni maggiori si registrano sulle colture in pieno campo di fagiolo, fagiolino, peperone, pomodoro, melanzana, zucchino, lampone, mora e fragola. Anche i seminativi di pieno campo risentono degli attacchi di cimice, specialmente a fine estate: soia e mais risultano le coltivazioni più colpite.
Infine, si registrano danni anche nel settore della pioppicoltura: le pioppelle nei primi anni presentano una corteccia sottile che attira giovani e adulti di cimice che si nutrono praticando ripetute punture. Gli enzimi iniettati causano la formazione di spaccature o ingrossamenti a carico delle pioppelle, con accrescimento stentato e maggior predisposizione a spaccarsi in caso di vento.
La diffusione di nuovi insetti alloctoni, specie se particolarmente dannosi come la cimice asiatica, tende sempre a stravolgere le strategie di difesa delle colture sensibili. Già in assenza di nuovi insetti esotici, la difesa fitosanitaria di numerose colture, in particolare di quelle frutticole, comporta un numero di trattamenti insetticidi e fungicidi decisamente importante, con implicazioni economiche non trascurabili per le aziende e soprattutto un impatto ambientale e tossicologico rilevante, anche per le aziende che aderiscono ai programmi agro-ambientali.
La quantificazione dei danni da cimice asiatica risulta particolarmente complessa, a causa dell’ampia varietà di colture interessate e della loro distribuzione territoriale: la Direzione regionale Agricoltura ha trasmesso al Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, in data 29 novembre 2019, una relazione in ordine alla diffusione della cimice asiatica nonché una prima stima dei danni ad essa correlati subiti dalle colture sul territorio regionale.
In Piemonte gli attacchi hanno interessato, come nelle altre regioni dell’Italia settentrionale, un numero crescente di colture con relativo incremento dei danni economici causati. In pochissimi anni la cimice asiatica è diventata l’avversità entomologica più grave per numerose colture, sia per i danni che può arrecare, sia per la difficoltà nel controllarne le popolazioni.
Le possibilità di difesa attiva sono modeste, a causa dell’estrema mobilità degli adulti e della buona capacità di spostamento anche degli stadi giovanili: gli insetticidi a disposizione sono quelli ad azione per contatto, la loro efficacia risulta non particolarmente elevata contro gli adulti (che possono sfuggire al contatto diretto al momento del trattamento volando via), mentre l’azione residua nei giorni successivi al trattamento è molto ridotta, anche per le temperature elevate del periodo estivo. Inoltre, in certe colture, come il nocciolo, la densità della chioma ostacola una buona distribuzione della soluzione insetticida, diminuendo la possibilità di colpire direttamente l’insetto.
Il nocciolo è una delle specie più interessate dalle infestazioni di cimice asiatica: essa è in grado di attaccare i frutti in formazione per un periodo di tempo molto lungo, fino alla raccolta. Mentre nel passato le infestazioni delle cimici autoctone risultavano limitate e richiedevano al massimo uno o due trattamenti insetticidi specifici in areali circoscritti caratterizzati da una loro maggior presenza, la diffusione della cimice asiatica ha creato gravi problemi per l’estensione territoriale e l'entità degli attacchi, con conseguenti elevate percentuali di cimiciato (macchie superficiali sul seme causate dalle punture di nutrizione della cimice) in tutte le aree di coltivazione del nocciolo. Le difficoltà di contenimento delle popolazioni, pur a fronte di numerosi trattamenti insetticidi, sono dovute, oltre che alle caratteristiche etologiche della cimice asiatica, alla difficoltà di raggiungere con la soluzione insetticida giovani e adulti su piante di taglia elevata e con vegetazione particolarmente densa.
Fra le drupacee, oltre al pesco la cimice attacca ciliegio, albicocco e susino; i danni maggiori sono causati su molte varietà di pero, sul nashi (pero giapponese) e su diverse varietà di mele. Nelle ultime annate sono aumentati anche gli attacchi su kiwi, in particolare su quello a polpa gialla. La copertura con reti degli impianti da frutto non ha sempre dato risultati soddisfacenti nel contenimento dei danni alla raccolta, ma ha sicuramente comportato un aggravamento di costi per le aziende.
Gli attacchi della cimice asiatica interessano anche le colture orticole e i piccoli frutti: i danni maggiori si registrano sulle colture in pieno campo di fagiolo, fagiolino, peperone, pomodoro, melanzana, zucchino, lampone, mora e fragola. Anche i seminativi di pieno campo risentono degli attacchi di cimice, specialmente a fine estate: soia e mais risultano le coltivazioni più colpite.
Infine, si registrano danni anche nel settore della pioppicoltura: le pioppelle nei primi anni presentano una corteccia sottile che attira giovani e adulti di cimice che si nutrono praticando ripetute punture. Gli enzimi iniettati causano la formazione di spaccature o ingrossamenti a carico delle pioppelle, con accrescimento stentato e maggior predisposizione a spaccarsi in caso di vento.
La diffusione di nuovi insetti alloctoni, specie se particolarmente dannosi come la cimice asiatica, tende sempre a stravolgere le strategie di difesa delle colture sensibili. Già in assenza di nuovi insetti esotici, la difesa fitosanitaria di numerose colture, in particolare di quelle frutticole, comporta un numero di trattamenti insetticidi e fungicidi decisamente importante, con implicazioni economiche non trascurabili per le aziende e soprattutto un impatto ambientale e tossicologico rilevante, anche per le aziende che aderiscono ai programmi agro-ambientali.
La quantificazione dei danni da cimice asiatica risulta particolarmente complessa, a causa dell’ampia varietà di colture interessate e della loro distribuzione territoriale: la Direzione regionale Agricoltura ha trasmesso al Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, in data 29 novembre 2019, una relazione in ordine alla diffusione della cimice asiatica nonché una prima stima dei danni ad essa correlati subiti dalle colture sul territorio regionale.