INTRODUZIONE

Il Cambiamento Climatico

Il rapporto di sintesi “Climate Change 2014”, pubblicato nel 2015 dal Panel Intergovernativo per i Cambiamenti Climatici e nel quale sono richiamate le conclusioni dei tre Gruppi di lavoro che hanno concorso a redigerlo, sancisce in modo inequivocabile il riscaldamento globale e gli impatti sulle altre componenti del sistema climatico, evidenziando come il fattore umano sia ritenuto la causa dominante del riscaldamento globale dal 95% della comunità scientifica internazionale.
Il rapporto asserisce infatti che con una probabilità superiore al 95%, le attività antropiche sono responsabili di più del 50% dell’aumento di temperatura fra il1951 e il 2010.
Le concentrazioni di gas ad effetto serra sono cresciute a partire dall’era preindustriale raggiungendo livelli che non hanno precedenti nella storia dell’umanità. La concentrazione di anidride carbonica, metano e protossido di azoto è aumentata dal 1750 ad oggi rispettivamente del 40%, 150% e 20%, raggiungendo i valori più elevati degli ultimi 800.000 anni.
La temperatura media globale è aumentata di 0,85°C dal 1880 ad oggi, con un aumento di 0,12°C/decennio nel periodo 1951−2012, la temperatura superficiale dell’oceano è aumentata (dal 1971 al 2010 l’aumento supera 0,11°C/decennio nei primi 75 m), il livello globale medio del mare dal 1901 al 2010 è cresciuto di 0,19 metri. L’estensione e il volume dei ghiacci si sono ridotti, la copertura nevosa nell’emisfero nord è diminuita e il permafrost è in generale degradazione.
I cambiamenti climatici osservati dal 1950 ad oggi, compresi gli eventi estremi, hanno determinato impatti diffusi sui sistemi naturali e antropici, dimostrando la loro elevata suscettibilità al clima.

Continuare a emettere gas climalteranti in atmosfera produrrà un ulteriore riscaldamento e cambiamenti di lunga durata di tutte le componenti del sistema clima aumentando la probabilità di impatti severi, pervasivi e irreversibili per le persone e i sistemi naturali e antropici.
Le emissioni cumulative di anidride carbonica concorrono a determinare il riscaldamento della superficie terrestre nella seconda parte del 21° secolo e oltre. Le proiezioni sulle future emissioni di gas climalteranti variano in un range molto ampio di valori che dipendono dallo sviluppo socio economico e dalle politiche sul clima.
In tutti gli scenari ipotizzati, le proiezioni indicano un aumento della temperatura media della superficie terrestre nel corso del secolo, almeno di 1,5°C oltre il livello preindustriale. Senza misure significative di mitigazione, ossia di riduzione sostanziale e prolungata nel tempo delle emissioni di gas serra, la temperatura potrebbe crescere nel range di 2°C-4°C.
È molto probabile un aumento della frequenza e intensità delle ondate di calore e dei periodi di siccità. Nello stesso tempo anche gli eventi di precipitazione intensa saranno più frequenti in molte regioni. Gli oceani continueranno a riscaldarsi e acidificarsi e il livello medio dei mari a crescere.
Al fine di evitare che il riscaldamento globale possa raggiungere
livelli pericolosi per la vita sul nostro pianeta il rapporto sollecita sostanziali riduzioni delle emissioni in atmosfera di gas ad effetto serra.
Il cambiamento climatico amplificherà gli attuali rischi e ne determinerà di nuovi per le persone e i sistemi naturali e antropici. I rischi saranno distribuiti in modo non uniforme e saranno generalmente più grandi per le popolazioni e le comunità svantaggiate degli Stati ad ogni livello di sviluppo. Non è da sottovalutare, inoltre, che la possibilità di improvvisi e irreversibili cambiamenti del clima aumenti con il crescere del riscaldamento.
È comunque importante sottolineare che molti aspetti del cambiamento climatico e degli impatti ad essi associati continueranno per secoli anche se le emissioni antropiche di gas serra fossero azzerate.

Efficaci decisioni per limitare il cambiamento climatico e i suoi effetti negativi devono essere basate su un ampio range di approcci analitici per valutare rischi e benefici attesi, riconoscere l’importanza della governance, della dimensione etica, dell’equità, dei valori, delle valutazioni economiche e delle diverse percezioni e risposte al rischio ed alle incertezze.
È necessario agire su due fronti: Adattamento e Mitigazione sono strategie, a volte anche molto diverse, ma complementari e sinergiche per ridurre e gestire i rischi del cambiamento climatico. Sostanziali riduzioni nelle emissioni nelle prossime decadi possono ridurre il rischio climatico nel 21° secolo e oltre, aumentare la probabilità di un efficace adattamento, ridurre i costi e le sfide della mitigazione nel lungo termine e contribuire ad uno sviluppo sostenibile e resiliente al clima.
Molte opzioni di adattamento e mitigazione possono aiutare, ma nessuna azione singola opzione è sufficiente da sola. Un’efficace implementazione dipende dalle politiche e dalla cooperazione a tutte le scale, nonché dalla capacità di integrare le azioni nell’ottica dello sviluppo sostenibile. Le risposte in termini di adattamento e mitigazione dipendono da una serie di fattori che includono: istituzioni efficaci, efficaci sistemi di governance, innovazione e investimenti in tecnologie e infrastrutture sostenibili sotto il profilo ambientale, comportamenti e livelli di vita sostenibili.

Il rafforzamento della capacità di resilienza della società agli impatti dei cambiamenti climatici rappresenta anche un'opportunità di investimento in un'economia a basse emissioni di carbonio ed efficiente dal punto di vista dell’utilizzo delle risorse (green economy, economia circolare) che sempre di più si sta affermando creando nuove opportunità di fare impresa e posti di lavoro.
In generale è necessario che si affermi la consapevolezza della necessità di aumentare la capacità adattativa dell’intera società che può rispondere sommando le abilità per investire in modo efficiente ma sinergico sulle opportunità che il patrimonio naturale, culturale, sociale, psicologico ed economico ci mette a disposizione.

Il cambiamento climatico sta già causando una varietà di effetti per la nostra salute, gli ecosistemi e l’economia. Questi impatti diventeranno molto probabilmente più grave nei prossimi decenni. Ecco perché è necessario prepararsi con progetti e azioni di adattamento. Un video dell’Agenzia europea per l’ambiente (Eea) spiega tutto questo in parole semplici. Guarda il video.

Le strategie di Adattamento

L’Adattamento punta a ridurre gli impatti dei cambiamenti climatici, incluso quelli in atto e inevitabili a causa del ritardo nella risposta del sistema terra-atmosfera alla concentrazione dei gas serra, ma anche a trarre beneficio da eventuali opportunità e far fronte alle conseguenze negative.
L’adattamento è molto efficace sul breve termine, mentre all’aumentare dell’entità del cambiamento le opzioni per un adattamento efficace diminuiscono e i costi associati (anche sociali) aumentano, specialmente in presenza di una maggiore magnitudo e velocità dei cambiamenti climatici. Considerare una prospettiva di lungo termine, in un contesto di sviluppo sostenibile, aumenta la probabilità che tempestive azioni di adattamento possano ampliare in futuro le opzioni e la preparazione della società, nonché aumentarne la resilienza.
Opzioni di adattamento esistono in tutti i settori, ma i contesti per la loro implementazione e la potenziale riduzione dei rischi connessi con il clima, differiscono da settore a settore e tra le diverse aree del pianeta.
Le azioni e le iniziative di adattamento ai cambiamenti climatici devono essere definite e messe in atto a livello nazionale e soprattutto regionale e locale. Infatti gli impatti dei cambiamenti climatici sono specifici per ogni territorio e richiedono un approccio intersettoriale sinergico e coordinato tra i diversi livelli di governo. Le strategie di adattamento devono essere contestualizzate per l’area di applicazione e devono contare sulle risorse, materiali e immateriali, del territorio.
Alcune opzioni di adattamento implicano benefici ambientali complessivi, anche su vasta scala, creando importanti sinergie con le politiche di sostenibilità ambientale perché riducono la pressione sui sistemi naturali, permettono alla natura di conservare le sue caratteristiche o di evolversi in modo duraturo, cioè preservando l'avvenire, contribuiscono alla conservazione degli ecosistemi che incidono direttamente sui sistemi di regolazione del clima e sono all'origine di una moltitudine di beni e di servizi essenziali per l'uomo.
Il Report dell'Agenzia europea Urban adaptation to climate change in Europe 2016 offre una panoramica approfondita su come rendere le aree urbane resilienti per far fronte ai cambiamenti climatici.
Il report individua alcune azioni che urbanisti e politici possono intraprendere per contribuire a diminuire l'impatto dei cambiamenti climatici, delineando le sfide e le possibili conseguenze di tali cambiamenti su una vasta gamma di funzioni urbane, dalle infrastrutture ai servizi energetici, ai trasporti, alle risorse idriche, nonché sulla qualità della vita.

Le strategie di Mitigazione

Ci sono molti possibili percorsi di mitigazione che potrebbero limitare il riscaldamento globale al di sotto dei 2°C relativamente ai livelli dell’era pre-industriale. Questi percorsi richiedono sostanziali riduzioni delle emissioni entro le prossime decadi e zero o quasi zero emissioni di CO2 e di altri gas ad effetto serra a lunga persistenza, entro la fine del secolo. Raggiungere questo ambizioso obiettivo di riduzione pone sostanziali sfide tecnologiche, economiche, sociali e istituzionali, sfide che diventano sempre più grandi se si ritarda a mettere in atto le azioni di mitigazione.
Opzioni di mitigazione sono disponibili in tutti i principali settori di azione. La mitigazione può essere più efficace sotto il profilo dei costi benefici se usata in un approccio integrato che combina misure per ridurre il consumo di energia e le emissioni degli utilizzatori finali, decarbonizza il sistema di produzione dell’energia, riduce le emissioni nette e aumenta il sequestro di carbonio nel suolo

Il cambiamento climatico in Piemonte

Anche in Piemonte un’attenta lettura dei dati osservati consente di evidenziare alcuni cambiamenti nelle variabili meteorologiche, sia sui trend di più lungo periodo sia sulla variabilità interannuale e gli eventi estremi. Vengono presentati di seguito alcuni risultati più interessanti ottenuti sia utilizzando i dati rilevati dalle stazioni meteorologiche di Arpa Piemonte sia le analisi oggettive del campo di temperatura e precipitazione ottenute applicando una tecnica di interpolazione statistica che consente di avere dei campi su griglia regolare omogenei e confrontabili perché indipendenti dal numero di stazioni attive.
Dall’analisi storica dei dati misurati sulla regione Piemonte si evidenzia un trend positivo nelle temperature, in particolare nei valori massimi, significativo dal punto di vista statistico.
Tale trend, che raggiunge i 2°C negli ultimi 58 anni, è in linea con quanto evidenziato dalla letteratura per l’area alpina. Più incerto il
trend sulle precipitazioni intense, che però sembra essere in crescita. I giorni piovosi, considerando gli ultimi 15 anni, risultano in diminuzione pressoché su tutta la regione, mentre aumenta la lunghezza massima dei periodi secchi. La pioggia annuale, nello stesso periodo, ha subito delle modificazioni, con un aumento in alcune zone (Verbano e basso Alessandrino) e una diminuzione in altre. Comparando i due indicatori si evidenzia un aumento degli eventi intensi laddove la pioggia annuale è aumentata. La quantità di neve fresca è complessivamente in diminuzione negli ultimi trent’anni, anche se nello stesso periodo si evidenziano singole stagioni particolarmente nevose. In generale, sovrapposta ad una tendenza al riscaldamento, sembra aumentare la variabilità interannuale, che determina l’alternanza di stagioni con caratteristiche climatiche molto differenti.

Le Temperature

Se si considerano l’andamento delle temperature massime negli ultimi 58 anni (figura 1) in Piemonte si osserva un trend positivo statisticamente significativo, più accentuato nel periodo dal 1981 al 2015 (0,62°C/10 anni) rispetto all’intero periodo 1958-2015 (0,38°C/10 anni). Quindi si può dire che le temperature massime sono aumentate di circa +2°C in 58 anni. Questo aumento sembra essere più accentuato nelle zone montane.

Figura 1
Valori medi annuali della temperatura massima - anni 1958-2015



In blu è rappresentata la linea di tendenza riferita agli anni 1958-2015, in rosso la linea di tendenza riferita al periodo dal 1981 al 2015. Le aree in grigio e arancione rappresentano gli intervalli di confidenza della retta di regressione lineare (al 95%)

Fonte: Arpa Piemonte
Anche le temperature minime hanno subito un aumento (figura 2), anche se di minore entità, circa 1,5°C in 58 anni. Non si evince una variazione di trend nei periodi più recenti; infatti nell’intero periodo 1958-2015 le temperature minime sono aumentate di 0,25°C/10 anni, dal 1981-2015 di 0,21°C/10 anni.

Figura 2
Valori medi annuali della temperatura minima - anni 1958-2015



In blu è rappresentata la linea di tendenza riferita agli anni 1958-2015, in rosso la linea di tendenza riferita al periodo dal 1981 al 2015. Le aree in grigio e arancione rappresentano gli intervalli di confidenza della retta di regressione lineare (al 95%)

Fonte: Arpa Piemonte
Interessante è osservare come l’effetto dell’aumento della temperatura si rifletta sulla forma della distribuzione della temperatura stessa modificando così non solo il valore medio ma anche gli estremi (figura 3). Confrontando, ad esempio, la distribuzione della temperatura massima estiva del periodo 1981-2015 con quella del 1958-1980 si evidenzia un aumento della mediana e del 95° percentile di circa 1°C e del 99° percentile di circa 1,5°C.

Figura 3
Distribuzione dei valori di temperatura massima nel periodo estivo per le zone di pianura


In Piemonte nel periodo 1958-1980 (blu) e 1981-2015 (rosso). Le linee verticali rappresentano i percentili (50°, 95° e 99°) delle due distribuzioni.

Fonte: Arpa Piemonte

Anche le modifiche al ciclo diurno della temperatura sono rilevanti: si evince un aumento della temperatura diurna del ciclo giornaliero, più rilevante se si considerano i dati degli ultimi anni.
Questa modifica nel ciclo diurno è significativa per gli aspetti legati all’evapotraspirazione con implicazioni, ad esempio, sull’agricoltura.

Le Precipitazioni

Considerando gli ultimi 58 anni, dalle analisi del campo di precipitazione, non si evince un trend significativo nella pioggia giornaliera sul Piemonte. Facendo un’analisi degli ultimi 15 anni rispetto al periodo di riferimento 1971-2000, si osserva una forte diminuzione del numero di giorni piovosi (precipitazione registrata maggiore o uguale a 1mm), un aumento della precipitazione cumulata annua nel Verbano, in corrispondenza della zona del Lago Maggiore, una lieve diminuzione complessiva delle precipitazioni sul resto della regione, più rilevante sul Biellese e sulla fascia meridionale tra Cuneo e Alessandria (figura 4).

Figura 4
Differenza del numero medio di giorni piovosi (a sinistra) e della precipitazione cumulata annuale media (a destra) tra i periodi 2001-2015 e 1971-2000

Fonte: Arpa Piemonte
Guardando gli andamenti negli anni dal 1958 al 2015 dell’anomalia della precipitazione annua cumulata sul Piemonte (calcolata rispetto alla media 1971-2000), non si evince né una tendenza significativa né un aumento della variabilità interannuale. Qualitativamente si può osservare nell’ultimo ventennio, nelle stagioni invernali e primaverili, una maggiore frequenza di anni con un deficit di precipitazione rispetto alla media. Nella stagione autunnale sembra aumentare il numero di anni con un surplus di precipitazione (figura 5).

Figura 5
Anomalia delle precipitazioni annue cumulate sul Piemonte rispetto alla media del periodo 1971-2000 nella stagione autunnale (settembre, ottobre e novembre)

Fonte: Arpa Piemonte

Dal punto di vista delle precipitazioni intense, confrontando i percentili più elevati (95° e 99°) della distribuzione della pioggia giornaliera dei periodi 1971-2000 e 2001-2015, si osserva un aumento del 99° percentile nella zona del Verbano (Lago Maggiore), nell’Alessandrino e Cuneese appenninico, e in alcune aree prealpine nordoccidentali, mentre non si evidenziano sostanziali differenze nel valore del 95° percentile.
Per analizzare le variazioni nelle precipitazioni più intense, sono state considerate le distribuzioni annuali delle precipitazioni giornaliere (superiori o uguali ad 1mm) su tutti i punti dell’analisi oggettiva, e si riscontra un trend statisticamente significativo di aumento dei valori estremi (figura 6).

Figura 6
Boxplot delle distribuzioni annuali delle precipitazioni giornaliere, superiori o uguali ad 1 mm - anni 1958-2015

In viola il trend (statisticamente significativo) dei massimi

Fonte: Arpa Piemonte
Per valutare eventuali tendenze nelle precipitazioni intense, sono stati analizzati i dati delle precipitazioni orarie (dal 1993 al 2015) misurate dalle stazioni della rete di Arpa Piemonte (circa 70). I dati sono stati considerati nel loro insieme per evidenziare eventuali caratteristiche a livello regionale. Inoltre, per poter confrontare stazioni a quote diverse, i dati sono stati standardizzati. Analizzando la frequenza di occorrenza del 95° e 99° percentili, calcolati sull’intera distribuzione, negli anni dal 1993 al 2015, non si evincono trend significativi dal punto di vista statistico. È comunque interessante osservare come, nel periodo estivo e invernale, risulta una maggiore variabilità a partire dal 2000; nel periodo primaverile invece, si osserva dal 2008 una minore frequenza degli episodi estremi. Nel periodo autunnale si evidenziano gli anni caratterizzati dagli eventi alluvionali, anche
con caratteristiche differenti (1994, 2000, 2011), senza una tendenza nella variabilità.
Considerando le singole serie, si evidenzia qualche trend positivo significativo sulla tendenza delle precipitazioni orarie, soprattutto per le stazioni più in quota.
Interessante è analizzare la variazione della lunghezza massima annuale dei periodi secchi (giorni consecutivi con precipitazione inferiore ad 1 mm) sull’intera regione. Si osserva qualitativamente un aumento di tale lunghezza nell’ultimo ventennio, dove si evidenziano molti episodi lunghi soprattutto alle quote basse (figura 7). Più si va in alto nella scala (rossi, viola) e più aumentano i giorni consecutivi secchi. Ad esempio Il 1997 è un anno di particolare siccità.

Figura 7
Lunghezza massima dei periodi secchi annuali (giorni consecutivi con precipitazione inferiore ad 1mm) per ogni punto di griglia dell’analisi oggettiva sul Piemonte

Fonte: Arpa Piemonte

La neve

Per avere un’indicazione sulle quantità di neve fresca è stato utilizzato l’indice standardizzato di anomalia nevosa (SAI - Standardized Anomaly Index): un indice SAI positivo indica una quantità di neve superiore alla media dell’intero periodo, mentre un indice negativo è legato ad un deficit. L’indice SAI esprime l’entità delle anomalie in termini di multipli di deviazione standard.
Analizzando tutta la serie storica dei mesi da novembre a maggio dal 1941 al 2014 (figura 8), si può notare che gli anni con anomalia negativa sono concentrati in prevalenza negli ultimi trent’anni. Nello stesso periodo compare il 2008 che è stato l’anno, dopo il 1950, con anomalia positiva maggiore.
Si evidenzia un periodo, dal 1970 al 1980 caratterizzato da stagioni prevalentemente nevose.

Figura 8
Indice standardizzato di anomalia nevosa (SAI – Standardized Anomaly Index) nei mesi da novembre a maggio dal 1941 al 2014 considerando i valori medi delle stazioni sull’arco alpino piemontese


In blu gli anni in cui le nevicate sono state superiori alla media, in rosso gli anni con deficit nevoso. Nell’immagine sono indicati i percentili della distribuzione (10°, 25°, 75° e 90°). Le variazioni dei valori compresi tra le linee arancioni continue (25° e 75° percentile) sono da considerarsi normali mentre quelle oltre le linee tratteggiate sono da considerarsi situazioni anomale (10° e 90° percentile).

Fonte: Arpa Piemonte
Considerando i valori mensili si osserva inoltre come in questi ultimi 30 anni ci sia stata una maggiore variabilità nelle precipitazioni dei mesi di novembre e dicembre tanto da far registrare un’elevata frequenza di eventi eccezionali sia positivi che negativi.