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Il permafrost nelle Alpi piemontesi
Figura 1
Figura 2
Come si nota, le temperature sono sempre negative indicando la presenza di permafrost dai 3 m fino a fondo foro (30 m). Nel 2015 si è osservato un innalzamento della temperatura media tra 0,2 e 0,3 °C nei primi 15 m di profondità.
Figura 3
Dal 2007 la cresta tra le quote 3.000 e 3.300 m circa è monitorata tramite GPS, capisaldi distanziometrici ed estensimetro a filo e dal 2013 anche con termometri in frattura e in roccia.
Consulta sul sito di Arpa gli approfondimenti sul permafrost:
Monitoraggio permafrost
Banca dati criosfera e permafrost
Presentazione permafrost
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La rete di monitoraggio del permafrost nelle Alpi Piemontesi (2009-2010)
Permafrost Monitoring at Monte Moro pass
Spedizione in Antartide - Terra Australis Incognita
IL PERMAFROST NELLE ALPI PIEMONTESI
Il permafrost nelle Alpi piemontesi
Con il termine “permafrost” si definisce un terreno o una roccia che ha una temperatura inferiore a 0 °C per due o più anni consecutivi. La parola permafrost deriva dall’inglese e si traduce in “permanentemente congelato” anche se nel permafrost, in particolari condizioni, può non esserci ghiaccio o può essere presente acqua allo stato liquido. La parte superficiale del permafrost, che risente dei cicli stagionali di gelo-disgelo, si chiama strato attivo ed è sede di importanti fenomeni geomorfologici (es. frane e colamenti superficiali, rock glacier, suoli strutturati).
Il permafrost è considerato un importante indicatore climatico in quanto la sua formazione ed evoluzione è direttamente legata alle condizioni climatiche globali e locali. Infatti, il permafrost è molto diffuso nelle aree circumpolari, come in Siberia dove raggiunge profondità anche di 1,5 km; ma è presente anche nelle catene montuose delle medie latitudini, come sulle Alpi dove localmente raggiunge profondità di alcune centinaia di metri. Sulla catena alpina il permafrost è presente in modo discontinuo al disopra dei 2.300-2.500 m di quota, mentre diviene più continuo al di sopra dei 3.000 metri. I principali fattori climatici che condizionano l’evoluzione del permafrost sono la temperatura media dell’aria, lo spessore e la persistenza della neve al suolo. Poiché questi fattori rientrano nel contesto del cambiamento climatico in atto, anche il permafrost sta evidenziando delle variazioni dimostrando lo stretto legame tra atmosfera e litosfera.
Numerosi sono gli effetti negativi per l’uomo se fonde il ghiaccio contenuto nel permafrost. Nelle aree alpine, i principali problemi sono legati alla variazione del ciclo idrologico e alla stabilità dei versanti. Infatti, a causa del riscaldamento e della conseguente degradazione del permafrost si è assistito negli ultimi decenni ad un incremento dei fenomeni franosi in quota che talvolta hanno interessato anche aree in cui è presente l’uomo.
Il permafrost è considerato un importante indicatore climatico in quanto la sua formazione ed evoluzione è direttamente legata alle condizioni climatiche globali e locali. Infatti, il permafrost è molto diffuso nelle aree circumpolari, come in Siberia dove raggiunge profondità anche di 1,5 km; ma è presente anche nelle catene montuose delle medie latitudini, come sulle Alpi dove localmente raggiunge profondità di alcune centinaia di metri. Sulla catena alpina il permafrost è presente in modo discontinuo al disopra dei 2.300-2.500 m di quota, mentre diviene più continuo al di sopra dei 3.000 metri. I principali fattori climatici che condizionano l’evoluzione del permafrost sono la temperatura media dell’aria, lo spessore e la persistenza della neve al suolo. Poiché questi fattori rientrano nel contesto del cambiamento climatico in atto, anche il permafrost sta evidenziando delle variazioni dimostrando lo stretto legame tra atmosfera e litosfera.
Numerosi sono gli effetti negativi per l’uomo se fonde il ghiaccio contenuto nel permafrost. Nelle aree alpine, i principali problemi sono legati alla variazione del ciclo idrologico e alla stabilità dei versanti. Infatti, a causa del riscaldamento e della conseguente degradazione del permafrost si è assistito negli ultimi decenni ad un incremento dei fenomeni franosi in quota che talvolta hanno interessato anche aree in cui è presente l’uomo.
Per verificare tutti questi aspetti, studiarne le tendenze e ipotizzare degli scenari futuri è nata una rete mondiale di monitoraggio del permafrost presente dal 2009 anche nelle Alpi piemontesi (nell’ambito del progetto europeo PERMANET, www.permanet-alpinespace.eu).
Arpa Piemonte, Dipartimento Tematico Geologia e Dissesto, (in collaborazione con l’Università dell’Insubria) ha installato sulle Alpi piemontesi (tra i 2.500 e i 3.000 m di quota) una rete di monitoraggio del permafrost di 5 stazioni costituite complessivamente da 8 pozzi verticali in roccia profondi da 5 a 100 m e strumentati con catene di sensori che misurano la temperatura a diversa profondità. Negli anni sono stati installati nuovi sensori per la misura della temperatura superficiale di rocce, detriti e sorgenti e sono stati effettuati rilievi con termocamera su ammassi rocciosi, corpi detritici e in cavità sotterranee (figura 1). La carta della distribuzione potenziale del permafrost stima che circa l’8,5% delle Alpi piemontesi è interessato da condizioni di permafrost attuale e relitto ma gli scenari di riscaldamento globale fanno ipotizzare una sensibile riduzione del permafrost alpino. Anche in Piemonte i dati del monitoraggio permafrost evidenziano una tendenza di incremento delle temperature nel sottosuolo. Tuttavia le stazioni piemontesi hanno serie storiche di dati ancora troppo brevi per consentire corrette interpretazioni. Dal confronto con i dati di altre stazioni alpine risultano alcune analogie con le stazioni storiche in Svizzera in cui il permafrost è in fase di degradazione anche a 3.000 m di quota (figura 2). A questa situazione sono probabilmente collegati i numerosi fenomeni gravitativi degli ultimi anni, in particolare quello della cresta Sud del Monte Rocciamelone, evidenziatosi nel dicembre 2006 (figura 3), e quello del Monte Rosa, nel dicembre 2015.
Arpa Piemonte, Dipartimento Tematico Geologia e Dissesto, (in collaborazione con l’Università dell’Insubria) ha installato sulle Alpi piemontesi (tra i 2.500 e i 3.000 m di quota) una rete di monitoraggio del permafrost di 5 stazioni costituite complessivamente da 8 pozzi verticali in roccia profondi da 5 a 100 m e strumentati con catene di sensori che misurano la temperatura a diversa profondità. Negli anni sono stati installati nuovi sensori per la misura della temperatura superficiale di rocce, detriti e sorgenti e sono stati effettuati rilievi con termocamera su ammassi rocciosi, corpi detritici e in cavità sotterranee (figura 1). La carta della distribuzione potenziale del permafrost stima che circa l’8,5% delle Alpi piemontesi è interessato da condizioni di permafrost attuale e relitto ma gli scenari di riscaldamento globale fanno ipotizzare una sensibile riduzione del permafrost alpino. Anche in Piemonte i dati del monitoraggio permafrost evidenziano una tendenza di incremento delle temperature nel sottosuolo. Tuttavia le stazioni piemontesi hanno serie storiche di dati ancora troppo brevi per consentire corrette interpretazioni. Dal confronto con i dati di altre stazioni alpine risultano alcune analogie con le stazioni storiche in Svizzera in cui il permafrost è in fase di degradazione anche a 3.000 m di quota (figura 2). A questa situazione sono probabilmente collegati i numerosi fenomeni gravitativi degli ultimi anni, in particolare quello della cresta Sud del Monte Rocciamelone, evidenziatosi nel dicembre 2006 (figura 3), e quello del Monte Rosa, nel dicembre 2015.
Figura 1
Quadro di sintesi della distribuzione del permafrost e attività di studio e monitoraggio nelle Alpi piemontesi
Fonte: Arpa Piemonte, con la collaborazione di Università dell’Insubria
Figura 2
Profilo della temperatura media annua nel sottosuolo alla stazione di monitoraggio del permafrost del Corno del Camoscio nel 2014 e 2015 (quota 3020 m, Alagna Valsesia, VC)
Fonte: Arpa Piemonte
Come si nota, le temperature sono sempre negative indicando la presenza di permafrost dai 3 m fino a fondo foro (30 m). Nel 2015 si è osservato un innalzamento della temperatura media tra 0,2 e 0,3 °C nei primi 15 m di profondità.
Figura 3
Vista del versante occidentale e del settore della cresta meridionale del Monte Rocciamelone attivatosi nel 2006-2007 (indicato dalla freccia)
Fonte: Arpa Piemonte
Dal 2007 la cresta tra le quote 3.000 e 3.300 m circa è monitorata tramite GPS, capisaldi distanziometrici ed estensimetro a filo e dal 2013 anche con termometri in frattura e in roccia.
Consulta sul sito di Arpa gli approfondimenti sul permafrost:
Monitoraggio permafrost
Banca dati criosfera e permafrost
Presentazione permafrost
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La rete di monitoraggio del permafrost nelle Alpi Piemontesi (2009-2010)
Permafrost Monitoring at Monte Moro pass
Spedizione in Antartide - Terra Australis Incognita