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IL PERMAFROST NELLE ALPI PIEMONTESI

Il permafrost nelle Alpi piemontesi

Con il termine “permafrost” si definisce un terreno o una roccia che ha una temperatura uguale o inferiore a 0 °C per due o più anni consecutivi. La parola permafrost deriva dall’inglese e si traduce in “perennemente congelato” anche se nel permafrost, in particolari condizioni, può non esserci ghiaccio o può essere presente acqua allo stato liquido. La parte superficiale del permafrost, che risente dei cicli stagionali di gelo-disgelo, si chiama strato attivo ed è sede di importanti fenomeni geomorfologici (es. frane e colamenti superficiali, rock glacier, suoli strutturati).

Il permafrost è considerato un importante indicatore climatico in quanto la sua formazione ed evoluzione è direttamente legata alle condizioni climatiche globali e locali. Infatti, il permafrost è molto diffuso nelle aree circumpolari, come in Siberia dove raggiunge profondità anche di 1,5 km; ma è presente anche nelle catene montuose delle medie latitudini, come sulle Alpi dove localmente raggiunge profondità di alcune centinaia di metri. Sulla catena alpina il permafrost è presente in modo discontinuo al disopra dei 2.300-2.500 m di quota, mentre diviene più continuo al di sopra dei 3.000 metri.

I principali fattori climatici che condizionano l’evoluzione del permafrost sono la temperatura media dell’aria, lo spessore e la persistenza della neve al suolo. Poiché questi fattori rientrano nel contesto del cambiamento climatico in atto, anche il permafrost sta evidenziando delle variazioni dimostrando lo stretto legame tra atmosfera e litosfera.

La carta della distribuzione potenziale del permafrost stima che circa il 9% delle Alpi piemontesi è interessato da condizioni di permafrost attuale e relitto ma gli scenari di riscaldamento globale fanno ipotizzare una sensibile riduzione del permafrost alpino (figura 1).

Figura 1
Quadro di sintesi della distribuzione del permafrost e attività di studio e monitoraggio nelle Alpi piemontesi

Fonte: Arpa Piemonte, con la collaborazione di Università dell’Insubria
Numerosi sono gli effetti negativi per l’uomo se fonde il ghiaccio contenuto nel permafrost. Nelle aree alpine, i principali problemi sono legati alla variazione del ciclo idrologico e alla stabilità dei versanti. Infatti, a causa del riscaldamento e della conseguente degradazione del permafrost si è assistito negli ultimi decenni ad un incremento dei fenomeni franosi in quota che talvolta hanno interessato anche aree in cui è presente l’uomo.

Per verificare tutti questi aspetti, studiarne le tendenze e ipotizzare degli scenari futuri è nata una rete mondiale di monitoraggio del permafrost presente dal 2009 anche nelle Alpi piemontesi (nell’ambito del progetto europeo PERMANET, www.permanet-alpinespace.eu).
Arpa Piemonte, Dipartimento Tematico Geologia e Dissesto (in collaborazione con l’Università dell’Insubria), ha installato sulle Alpi piemontesi (tra i 2.500 e i 3.000 m di quota) una rete di monitoraggio del permafrost di 5 stazioni costituite complessivamente da 8 pozzi verticali in roccia profondi da 5 a 100 m e strumentati con catene di sensori che misurano la temperatura a diversa profondità. Negli anni sono stati installati nuovi sensori per la misura della temperatura superficiale di rocce, detriti, grotte e sorgenti e sono stati effettuati rilievi con termocamera su ammassi rocciosi, corpi detritici e in cavità sotterranee (figura 2).

Figura 2
Rilevamento e installazione di sensori termici nella grotta denominata “Rem del ghiaccio”
(Val Casotto, meta-sedimenti carbonatici Triassico-Giurassico delle Alpi Liguri, Prov. Di CN), a circa 2.000 m di quota, ospitante un grande ghiacciaio

Foto: Prof. B. Vigna, Politecnico di Torino, Agosto 2016 
Anche in Piemonte i dati del monitoraggio permafrost evidenziano una tendenza di incremento delle temperature nel sottosuolo. Tuttavia le stazioni piemontesi hanno serie storiche di dati ancora troppo brevi per consentire corrette interpretazioni. Dal confronto con i dati di altre stazioni alpine risultano alcune analogie con le stazioni storiche in Svizzera in cui il permafrost è in fase di degradazione anche a 3.000 m di quota (figura 3).

Figura 3
Profili termici dal 2010 al 2014 della stazione di monitoraggio del permafrost del sito de La Colletta (quota 2.870 m, Comune di Bellino, Val Varaita, CN)

Fonte: Arpa Piemonte

Le curve che rappresentano la media delle temperature massime e minime alle varie profondità del pozzo di 30 m evidenziano uno spostamento verso le temperature positive (a destra) con conseguente degradazione del permafrost.

A questa situazione sono probabilmente collegati i numerosi fenomeni gravitativi degli ultimi anni, in particolare quello della cresta Sud del Monte Rocciamelone (Il monitoraggio geotecnico-termico del M. Rocciamelone), evidenziatosi nel dicembre 2006 (figura 4), e quello del Monte Rosa, nel dicembre 2015.

Figura 4
Strumentazione per il monitoraggio termico di superficie di fratture aperte lungo la cresta Sud del M. Rocciamelone a circa 3.000 m di quota, interessato da evidenti e attivi fenomeni di instabilità.

Foto: Archivio Arpa Piemonte