EMERGENZA COVID-19

Siamo andati avanti così rapidamente in tutti questi anni che ora dobbiamo sostare un attimo per consentire alle nostre anime di raggiungerci.
Michael Ende (La storia infinita)

"Il tetto si è bruciato
ora
posso vedere la luna"
Mizuta Masahide (1657 - 1723)

MA IL CIELO È SEMPRE PIù BLU

La diffusione planetaria del virus SARS-CoV-2 ha travolto e disorientato l’Italia e il mondo intero producendo la crisi di gran lunga più grande che la storia recente ricordi. La paura del contagio e le conseguenti misure di distanziamento interpersonale hanno inciso in tutti i paesi del mondo provocando uno shock in tutte le dimensioni della vita sociale, personale e interrelazionale, in primo luogo sulla sanità e la medicina, ma non meno drammatico quello in campo economico-sociale con un impatto devastante sull’occupazione, pesanti ricadute sugli spostamenti, sulla formazione delle giovani generazioni soprattutto delle fasce deboli e sui rapporti interpersonali, sulle unioni e collaborazioni tra Stati, con rischi di ingenerare tensioni e conflitti sociali.

Moltissime sono state e sono tuttora in corso le indagini e le riflessioni sul nesso causale tra questa pandemia e le condizioni climatiche e ambientali: la sovrappopolazione della specie umana sul pianeta, la scarsità delle risorse necessarie per soddisfare le loro esigenze, la lotta all’accaparramento delle risorse più preziose da parte dei paesi più ricchi, il consumo e lo sfruttamento intensivo di suolo, la distruzione di habitat naturali, il surplus alimentare di alcuni, l’indigenza di molti.
Ci si interroga se la deforestazione e la desertificazione di suoli possa essere la causa, o la concausa, di questa pandemia, se il maggiore contatto tra animali selvatici e la nostra specie e il conseguente salto di specie dei vari patogeni (c.d. spillover), se gli allevamenti intensivi possano aver favorito mutazioni virali e successive trasmissioni all’uomo favorite da una globalizzata e intesa mobilità tra le persone, le interazioni fra polveri sottili e virus, se esista una correlazione tra la malattia e la dimensione epocale della perdita di natura.

Ancora non vi sono evidenze scientifiche di tali possibili correlazioni, molto bisognerà ancora studiare per arrivare a risposte certe e attendibili, ma anche il sentore comune percepisce la profonda relazione degli esseri umani con gli ecosistemi in cui vivono e con cui interagiscono.
Anche il più distratto osservatore ha constatato nella fase di blocco delle attività il cielo blu delle città, l’acqua limpida dei fiumi, il canto degli uccelli non più coperto dal traffico e dai clacson, la natura che piano piano si è ripresa il posto che le abbiamo sempre più negato.
Da questa osservazione non può che nascere una riflessione, scontata ma non per tutti, sulla profonda interconnessione tra il nostro modello di vita e le condizioni dell’ambiente circostante.
Si è palesato il senso della salute all’interno della vita sociale e la sua preminenza rispetto a tutto, anche alle leggi dell’economia che fino ad ora sono state di freno per ogni proposta di sviluppo compatibile con le dimensioni sociali e ambientali.
Mai come in questa terribile congiuntura, constatando come l’incolumità di ciascuno dipenda da quella di tutti, siamo chiamati a diventare consapevoli di questa reciprocità che sta alla base della nostra vita, siamo parte dell’umanità e l’umanità è parte di noi: dobbiamo accettare queste dipendenze e assumerci le relative responsabilità.

La COVID-19 ha reso ancora più immediatamente evidente ciò che sapevamo, senza farcene adeguatamente carico: nel bene come nel male le conseguenze delle nostre azioni ricadono sempre anche sugli altri, le nostre scelte hanno conseguenze sociali sulle singole persone, sulle comunità, sulla società, sul pianeta.
L’esplosione imprevedibile e incontrollata di un virus ci ha ricordato che non dominiamo completamente la natura, tanto meno ne siamo i padroni e che la supremazia dell’economia, che ha vinto in questi decenni sulla politica, sula natura e sulla cultura, ha ceduto di fronte alle ragioni della salute e della sopravvivenza umana.
Ci siamo altresì accorti e che noi umani non possiamo essere sani se il mondo intorno a noi non lo è, se il pianeta, le foreste, gli animali, l’aria, l’acqua il nostro cibo sono stressati e malati1.

L’approccio “One Health”2, adottato da tanti organismi delle Nazioni Unite dall’UNEP, all’UNDP, dalla OMS alla FAO, all’Organizzazione Mondiale per la Salute Animale (OIE), alla Commissione Europea, riconosce come la salute degli esseri umani sia strettamente legata alla salute degli animali e dell’ambiente.
Se qualcuno si affanna nella ricerca di un colpevole o di un capro espiatorio, molti riflettono sull’attuale stile di vita che è stato capace di scatenare devastazioni così drammatiche come quelle che oggi investono le nostre esistenze.
Ora che il mondo intero si interroga su come progettare la “ripartenza” della macchina sociale e produttiva coniugando la ripresa delle attività con il contenimento dell’epidemia, la correlazione ambiente-cambiamenti climatici-salute si pone come uno dei temi prioritari da affrontare e il tema della prevenzione assume, se possibile, una rilevanza ancora maggiore di prima.

Il momento attuale potrebbe rappresentare l’opportunità per tutti di ri-orientare un'attenzione rinnovata a un ambiente più salutare, a un benessere che tenga in considerazione le esigenze di tutti, comprese quelle delle generazioni future, un’opportunità di liberarci da vecchi meccanismi e trovare nuove soluzioni.
Non torneremo alla normalità, perché la normalità era il problema”. La scritta luminosa che è apparsa su un palazzo di Santiago del Cile durante il distanziamento interpersonale ben rappresenta la consapevolezza di dover pensare in modo nuovo, re-interpretando il rapporto uomo-natura, ricomponendo un equilibrio maggiore dello sviluppo economico con l’ambiente e con la salute, attivando soluzioni creative per “assicurare la dissociazione fra la crescita economica e il suo impatto sull’ambiente”3 secondo i principi dello sviluppo sostenibile di cui all’Agenda 2030 dell’ONU e delle Strategie nazionali e regionali, declinando nel contempo una nuova grammatica solidale.

La ripartenza dell’attività dopo il cataclisma economico e la conseguente ondata di povertà e disperazione che incombe su molti, richiede creatività e innovazione, una “ripresa della gente e del pianeta4 una spinta alla transizione energetica verso le energie rinnovabili, alla necessità di trasformare l’economia da lineare a circolare, agli investimenti nelle imprese sociali, al ripristino della biodiversità e alla riduzione dell'inquinamento, alla valorizzazione dei servizi ecosistemici, al rafforzamento della resilienza delle foreste, ad un diverso sistema alimentare, a nuovi sistemi di mobilità di persone e merci, all’edilizia sostenibile e alla rigenerazione urbana, alla ri-progettazione degli spazi comuni, dei servizi e delle aree verdi, a nuovi stili di vita individuali, “a un progetto di cambiamento globale, comune seppur differente in ogni luogo, strettamente locale quanto orgogliosamente mondiale” 5.
Ora che abbiamo toccato con mano quanto strettamente siamo tutti connessi e frutto di intrecci di relazioni, che abbiamo sperimentato direttamente come l’incolumità di ciascuno dipenda da quella di tutti, non perderemo la grande occasione che l’esperienza di questa epidemia ci ha offerto se ci assumiamo la responsabilità di passare all’azione, se riusciamo ad avere cura dell’ambiente, che vuol dire aver cura degli uomini, della loro salute, della loro sopravvivenza perché siamo tutti ospiti della stessa Terra e forme della stessa vita. E nel restituire la natura a sé stessa, restituiremo dignità all’uomo.


“… non abbiamo ascoltato il grido dei poveri, e del nostro pianeta gravemente malato. Abbiamo proseguito imperterriti, pensando di rimanere sempre sani in un mondo malato". Papa Francesco, preghiera speciale per l'emergenza sanitaria. San Pietro 27 marzo 2020
La visione olistica One Health, ossia un modello sanitario basato sull'integrazione di discipline diverse, è antica e al contempo attuale. Si basa sul riconoscimento che la salute umana, la salute animale e la salute dell’ecosistema siano legate indissolubilmente. È riconosciuta ufficialmente dal Ministero della Salute italiano, dalla Commissione Europea e da tutte le organizzazioni internazionali quale strategia rilevante in tutti i settori che beneficiano della collaborazione tra diverse discipline (medici, veterinari, ambientalisti, economisti, sociologi etc.). Istituto Superiore di Sanità
3 Strategia di Sviluppo Sostenibile
4 “Non torniamo al mondo di prima”. Intervista dell’economista Muhammad Yunus, La Repubblica il 18 aprile 2020.
5 La ricetta anti-Covid di Terra Madre: Puntare sugli umili e la loro resilienza” Intervista a Carlo Petrini, La Stampa 18 maggio 2020

Interconnessioni SDGs e COVID-19

Istat ha diffuso la terza edizione del Rapporto sugli Obiettivi dell’Agenda 2030, che rappresenta il piano di azione globale per il conseguimento di una trasformazione sostenibile della società, dell’economia e dell’ambiente, nel periodo della pandemia di COVID-19.
Questo ha accelerato la necessità di una visione unitaria in grado di elaborare e implementare una strategia appropriata per uno sviluppo economico, sociale e ambientale attento alle interdipendenze dei diversi aspetti e orientato alla sostenibilità.
Sebbene il Rapporto contenga prevalentemente informazioni aggiornate al 2019, Istat ha cercato di dare conto dell’impatto del COVID-19 in due modi. Da un lato, si presenta un esercizio di valutazione controfattuale che, a partire dal lockdown, stima la riduzione delle emissioni generate dai comportamenti assunti da famiglie e imprese. Dall’altro, si presentano le interazioni tra il COVID-19 e i diversi Goals utilizzando lo schema delle interconnessioni e reti.

Le misure volte a limitare il contagio da Covid-19 hanno infatti portato ad una limitazione delle attività di imprese e famiglie: se quindi il lockdown ha avuto un impatto negativo sulle attività economiche, dall’altra ha prodotto effetti positivi sulle emissioni climalteranti e inquinanti. Ma quanto ha inciso?

La stima della riduzione delle emissioni di gas climalteranti e dei precursori dell’ozono troposferico riconducibile al lockdown sarebbe pari a 11,7 milioni di tonnellate di CO2 equivalenti e 98,1 mila tonnellate di potenziale di formazione di precursori dell’ozono troposferico. Questi valori corrispondono a una diminuzione percentuale, rispetto allo scenario senza lockdown, del 2,6% per i gas climalteranti e del 4% per i precursori dell’ozono troposferico. Ad inizio lockdown anche Enea aveva evidenziato un calo drastico nel primo trimestre dell'anno delle emissioni di CO2 (-10% circa rispetto all'anno precedente) con la previsione di un -15% nel semestre.

Il contributo maggiore al calo delle emissioni, sostiene Istat, deriverebbe dal cambiamento dei comportamenti delle famiglie (52% del totale dei gas climalteranti e 74% in termini di precursori dell’ozono troposferico). Le imprese avrebbero contribuito all’1,7% per i primi e 1,6% per i secondi.

Venendo alle interazioni tra Covid-19 e i diversi obiettivi di sviluppo sostenibile, la pandemia ha senza dubbio evidenziato come la sostenibilità sociale sia strettamente interconnessa a quella economica e a quella ambientale.

La crisi generata è infatti sistemica e riguarda tutti i domini; partendo dall’obiettivo relativo a salute e benessere (3), si contano effetti e/o implicazioni su quasi tutti gli altri obiettivi: 
  • povertà (1), educazione (4), disuguaglianze (10) e partnership (17): la dimensione digitale, ad esempio, ha trovato una popolazione non uniformemente preparata;
  • parità di genere (5): tema importante per il ruolo di rilievo delle donne nella pandemia e dei pericoli cui vanno incontro nella attuale situazione;
  • acqua pulita (6): tema rilevante anche solo per la necessità che l’emergenza ha imposto di lavarsi spesso le mani e si pensi a quei Paesi che non hanno ancora accesso all'acqua pulita;
  • sistema energetico (7), condizione economica e occupazionale (8), innovazione (9): l’emergenza economica ha avuto effetti particolari sul turismo, sui trasporti, sull’energia;
  • città e comunità sostenibili (11): i sistemi urbani hanno giocato un ruolo fondamentale nella attuale situazione;
  • consumo e produzione responsabili (12) e lotta al cambiamento climatico (13): si pensi all’impatto della pandemia sull’inquinamento atmosferico da una parte e sulla produzione di rifiuti dall'altra;
  • fame (2), vita sott’acqua (14), vita sulla terra (15): la crisi ha reso evidente l’importanza di mantenere integri gli ecosistemi terrestri e marini e proteggere la biodiversità.

Figura 1
Interconnessioni tra gli Obiettivi dell’Agenda al 20030 e COVID-19


Di seguito vengono presentate alcune riflessioni sviluppate durante l’emergenza COVID-19. Sono naturalmente prime valutazioni che necessitano di tempo per poter essere elaborate e assumere pienamente un valore scientifico. In questa prima fase si prende atto delle variazioni e si dà conto di quanto succede. Solo al termine di questo periodo di pandemia sarà possibile effettuare un’analisi completa del fenomeno e formulare ipotesi e confronti con i periodi precedenti.

La gestione dell’emergenza COVID-19 e il cambiamento climatico

L’attualità impone una riflessione sugli effetti su vasta scala che la pandemia, dovuta al nuovo coronavirus, sta determinando e potrebbe ancora di più determinare nel prossimo futuro, inclusa l’applicazione delle politiche e delle azioni per il contrasto al cambiamento climatico nonché le concause climatiche e ambientali che possono aver favorito la diffusione del virus e la sua propagazione dagli animali all’uomo. Ma è anche interessante capire quanto i provvedimenti immediati di lockdown possano impattare sul trend climatico e, soprattutto, quanto la gestione dell’emergenza sanitaria abbia delle affinità con l’implementazione delle politiche di adattamento al cambiamento climatico e chiedano alla politica un modo nuovo di affrontare i problemi. L’attenzione alla crisi climatica, quale sfida dominante del XXI secolo, sembra oggi perdere importanza, con il rinvio della COP26 e con l’effetto che potrebbe generare sulla transizione energetica. In realtà l’emergenza sanitaria rappresenta, nella sua drammaticità, un’occasione unica da una parte, per meglio comprendere le interazioni del riscaldamento globale e delle emissioni di gas serra nell’attuale modello di sviluppo, e, dall’altra, per indirizzare le politiche di recovery e i finanziamenti collegati, verso la costruzione di una società più equa, rispettosa dell’ambiente e capace di coniugare sviluppo e dimensione sociale, come indicano gli obiettivi dell’Agenda 2030.

L’origine

Sull’origine del nuovo coronavirus, sebbene esistano pressioni per attribuire la sua genesi alle attività di laboratorio, diversi studi concordano sulla presenza di una forte connessione tra la diffusione delle malattie emergenti (come Ebola, AIDS, SARS, influenza aviaria, SARS-CoV-2) e la perdita di biodiversità, indotta dall’impatto delle società umane sui sistemi naturali e sullo sfruttamento indiscriminato delle risorse naturali. Gli ecosistemi hanno infatti un ruolo fondamentale nel sostenere la vita sul nostro pianeta, ma anche nel regolare la trasmissione e la diffusione di malattie infettive. La distruzione dell’habitat naturale ad opera dell’uomo, rompe gli equilibri ecologici e riduce le barriere naturali al contagio. La perdita degli ecosistemi forestali, più complessi e ricchi di biodiversità, a causa della deforestazione, ha, di fatto, ridotto drasticamente parte di quelle specie animali che rappresentavano un argine tra i virus e l’essere umano, aumentando i rischi di contagio. Questo impoverimento della biodiversità favorisce il fenomeno dello spillover, ossia del salto interspecifico: il passaggio di un patogeno da una specie ospite a un’altra, in questo caso da animale a uomo, a causa della diminuzione delle specie intermedie e della connessione, da parte dell’uomo, di ecosistemi originariamente separati. La teoria oggi più accreditata attribuisce proprio a questo fenomeno l’origine del nuovo coronavirus. Naturalmente forme di commercio, illegale o no, di animali selvatici o parti di essi, incrementa la probabilità che il fenomeno di spillover avvenga.
La relazione “snaturata” della società occidentale con l’ambiente, il vorace consumo delle risorse naturali, per cui l’overshoot day si presenta sempre prima (nel 2019 è stato il 29 luglio a livello globale, per quanto riguarda l’Italia il 14 maggio), l’incapacità di riconoscere il valore del capitale naturale, uniti ad un modello di consumi ricco di esternalità negative e di mobilità rapida e imprescindibile, dove il tempo si è contratto, ha favorito la rottura di questo argine alle malattie infettive rappresentato proprio della natura. Lo stesso approccio ha portato anche a sottovalutare l’emergenza climatica e la sua portata, a rifiutare il contributo antropico al riscaldamento globale, a trattare i rischi naturali come notizie e il cambiamento climatico come una crisi dalla quale si rientra.

La diffusione

I meccanismi di diffusione della pandemia saranno oggetto di analisi scientifiche accurate, fondamentali per capire e prevenire gli errori fatti. Alcune ipotesi sul ruolo dell’inquinamento atmosferico da particolato (PM10, PM2,5), che rappresenta una delle problematiche maggiori per la salute delle popolazioni delle aree urbane del nord Italia, quale efficace vettore per il trasporto, la diffusione e la proliferazione delle infezioni virali, sono state avanzate sin dalla prime fasi della diffusione della pandemia in Italia.

Diversi studi scientifici sulla diffusione dei virus nella popolazione umana correlano l’incidenza dei casi di infezione virale con le concentrazioni di particolato atmosferico. Il particolato atmosferico può funzionare infatti da carrier, ovvero da vettore di trasporto, per molti contaminanti chimici e biologici, inclusi i virus. I virus si “attaccano”, attraverso un processo di coagulazione, al particolato atmosferico, costituito da particelle solide e/o liquide in grado di rimanere in atmosfera anche per ore, giorni o settimane, che possono diffondere ed essere trasportate anche per lunghe distanze. Il particolato atmosferico, oltre ad essere un potenziale carrier, costituisce un substrato che può permettere al virus di rimanere nell’aria in condizioni vitali per un tempo superiore. Analisi più recenti, sia dal mondo epidemiologico sia da quello della protezione ambientale, mettono in dubbio l’efficacia di questo meccanismo nell’attuale emergenza, mentre più plausibile potrebbe essere l’aumento del rischio di patologie respiratorie e infezioni acute delle basse vie respiratorie a seguito dell'esposizione all'inquinamento atmosferico, in particolare nei soggetti più vulnerabili.

Sicuramente un insieme di fattori quali l’andamento della qualità dell'aria, le caratteristiche delle comunità residenti, lo stato di salute preesistente e co-fattori legati sia all'inquinamento sia alla malattia in esame (età, condizioni socio-economiche, abitudini personali, ecc.), nonché le misure di contenimento del SARS-CoV-2 adottate, saranno informazioni importanti di cui terranno conto le indagini epidemiologiche per spiegare la diffusione del contagio.
Resta tuttavia una realtà che, per una epidemia con contagio per via respiratoria, la presenza di agglomerati urbani ad alta densità abitativa, la frequenza e la vicinanza dei contatti, i continui spostamenti delle persone, facilita la diffusione della pandemia. Molti altri fattori contribuiscono a spiegare la maggiore vulnerabilità del nord-Italia. Nelle aree maggiormente industrializzate, come la Pianura Padana, con una elevata concentrazione di attività produttive essenziali, anche durante il lockdown gli spostamenti e i contatti sono stati elevati. L’alta concentrazione di persone e di assetti rende le città anche elementi molto vulnerabili agli effetti del riscaldamento globale, aree ad alto rischio climatico che meritano un’attenzione peculiare, luoghi dove è importante considerare la sinergia degli impatti climatici combinati con altri fattori quali quelli ambientali, socioeconomici, culturali e istituzionali.

L’invecchiamento della popolazione, che caratterizza da diversi anni la demografia italiana, con conseguente incremento della vulnerabilità della popolazione esposta, rappresenta un altro aspetto che unisce l’emergenza sanitaria e la crisi climatica. Il feed-back positivo che la situazione attuale, sia per gli effetti indotti dalla disoccupazione e dall’incremento della povertà sia per la paura e l’incertezza del futuro, potrebbe generare sull’invecchiamento della popolazione italiana è drammatico. Se già i dati di natalità del 2019 sono infatti i più bassi registrati dall’ISTAT negli ultimi 150 anni di Unità Nazionale e mostrano un deciso scostamento rispetto alle proiezioni, le stime di riduzione della natalità negli anni 2020-2021 variano, nell’ipotesi migliore, tra il 2% e il 7,3%. Così una popolazione più anziana dovrà affrontare gli effetti della crisi climatica e della non improbabile diffusione di nuovi virus.

Gli effetti del lockdown sulle emissioni climalteranti

Le misure di contenimento della diffusione del virus SARS-CoV-2, e in particolare quelle di lockdown, hanno contribuito a una riduzione importante sia delle emissioni -inquinanti - di cui si è registrato da subito una decisa diminuzione della concentrazione in tutte le aree urbane - sia sulle emissioni di gas climalteranti, che, a causa della lunga capacità di permanenza in atmosfera, non risultano nelle misure di concentrazione in aria. Per le prime, la diminuzione del traffico e la limitazione delle attività produttive hanno ridotto in particolare le emissioni di ossidi di azoto e di particolato atmosferico. In quest’ultimo la riduzione della concentrazione in aria è stata inferiore a quella del biossido di azoto a causa della complessità del quadro emissivo, del funzionamento degli impianti di riscaldamento e dei processi di generazione secondaria, che sono stati favoriti dall’attività fotochimica dei giorni miti che hanno caratterizzato i mesi di marzo e aprile (in Piemonte, una anomalia di quasi 1 °C a marzo e più di 2,5 °C ad aprile).

Per quanto riguarda i gas serra, la riduzione delle emissioni stimata a livello globale è circa dell’8% (stima più recente dell’International Energy Agency - IEA), quasi 6 volte la riduzione misurata nel 2008 per la crisi finanziaria. Per avere un’idea dell’entità, basti pensare che l’8% rappresenta la riduzione annuale delle emissioni necessaria nei prossimi 10 anni per limitare il riscaldamento globale a fine secolo entro 1,5 °C rispetto al periodo preindustriale. A livello globale, la domanda di energia è stata del 3,8% più bassa nei primi quattro mesi dell’anno rispetto al 2019 e ci aspetta che, a fine anno, questa percentuale salga al 6%. Una diminuzione che non si vedeva da decenni. Diminuzione della produzione di energia e della relativa domanda, in particolare di paesi come l’Italia, dove le misure di lock down sono state particolarmente restrittive (l’ente Ricerca sul Sistema Energetico - RSE ha evidenziato nel mese di marzo 2020 un calo della domanda del 10,8% rispetto al marzo 2019, maggiormente concentrato al nord ma la stima della IEA mostra quasi una riduzione del 30%), e la diminuzione dei trasporti (in Italia si stima una riduzione del 60% dell’attività di trasporto su strada nel mese di aprile e del 90% dei voli aerei). L’attuale situazione non rappresenta certo un modello da perseguire per avere una qualità dell’aria migliore, ma un eccezionale esperimento per capire come, dove e quanto cambiare le regole del gioco.

La riduzione delle emissioni di gas climalteranti stimate a causa della crisi economica conseguente alla pandemia, così come quella dell’inquinamento nelle aree urbane dove sono in atto provvedimenti di lockdown, non sono però sostenibili nel tempo se non guidate da politiche e misure strutturali. Le crisi economiche sono infatti state, nella storia dell’umanità, gli unici momenti in cui si è ridotto il tasso di crescita delle emissioni, ma sempre per un breve periodo. La ripresa successiva ha sempre visto un deciso incremento nonostante da circa un ventennio si parli di decoupling e de-linking, cioè della riduzione dell’intensità di emissioni, la quantità di gas serra emessa per ogni unità di ricchezza prodotta. Anche oggi, la riduzione del prezzo del petrolio, conseguente alla limitata mo-bilità e ridotta richiesta energetica imposta dalla pandemia, rischia di rallentare la decarbonizzazio-ne, così come la proiezione al ribasso delle stime di vendita delle autovetture (in Europa si stima una diminuzione del 55% delle vendite rispetto al 2019), rischiano inoltre di rallentare gli investimenti nella mobilità elettrica se non si attuano forti politiche di controtendenza.

Esiste un’altra via. L’avanzamento tecnologico attuale associato a investimenti mirati e ai nuovi comportamenti che da questa crisi si è imparato in termini di mobilità, di esigenze superflue, di utilizzo del tempo, di ottimizzazione del lavoro, potrebbe portare a un abbassamento dell’intensità di emissioni significativo e strutturale. Questo rafforzerebbe anche gli impegni nazionali di riduzione (NDC) previsti dall’Accordo di Parigi da parte di tutti gli Stati, permettendo di raggiungere il target di limitare il riscaldamento globale al di sotto dei 2 °C a fine secolo e rilanciando il negoziato internazio-nale sul clima. Questo processo, viceversa, rischia di essere compresso dalle esigenze sanitarie ur-genti e vedere indebolito l’effetto delle azioni di mobilitazione che nell’ultimo anno hanno messo il tema del cambiamento climatico nell’agenda della politica e della finanza.

Le cose da fare: la gestione dell’emergenza e l’adattamento al cambiamento climatico
La diffusione del contagio da COVID-19 ha visto una società alle prese con l’inaspettato, l’imprevisto, l’inimmaginato. Ha messo in discussione certezze e priorità, evidenziando la mancanza di organizzazione basata su priorità sociali, l’ambizione di una pianificazione coordinata, del ruolo forte dell’intervento pubblico, di strutture capillari e diffuse sul territorio per gestire l’emergenza in modo inclusivo.
Trovarsi di fronte a una situazione inedita quale quella del coronavirus, che non gestita avrebbe avuto conseguenze ancora più drammatiche, ferite profonde e durature, cambiamenti irreversibili, rappresenta una condizione per alcuni versi simile a quella di doversi proteggere dagli effetti negativi del cambiamento climatico che, superati i punti di non ritorno, chiederanno di pagare il conto.

Se l’emergenza sanitaria è stata una sorpresa, un fatto non preso in seria considerazione per la sua sostanziale novità, il cambiamento climatico è stato invece largamente preannunciato. Eppure, anch’esso viene sottovalutato e i suoi effetti tendono ad essere ridimensionati, perché affrontarli richiederebbe un cambiamento profondo e la messa in discussione di principi e logiche del nostro modello di sviluppo. Entrambi i problemi, a causa del carattere globale e urgente che li contraddistingue, passano da una narrazione emergenziale ad una di vera e propria crisi.

Abbiamo capito che essere impreparati non aiuta, che tornare alla normalità senza cambiamento è inutile, che non migliorerebbe la nostra esposizione alle malattie emergenti e non aumenterebbe la nostra resilienza. Ci troviamo a pianificare un nuovo modello di convivenza sociale, di lavoro, di relazioni, anche in condizioni di incertezza, quando il problema e la sua evoluzione non sono completamente noti. In questo caso un approccio ricorsivo, che pianifichi le azioni, le verifichi nella loro efficacia e consenta di rivederle, adeguarle, ricalibrarle attraverso un modo di pensare circolare e non più lineare verso un target predefinito, ha importanti similitudini con l’approccio per costruire l’adattamento al cambiamento climatico. Ragionare per scenari futuri su orizzonti di medio-lungo periodo, prevedere dei contingency plan, assumere decisioni anche impopolari ma nel contempo dare percezione di protezione e rassicurazione, diventa parte di una politica in grado di costruire una visione del futuro. L’inclusione dei portatori di interesse nelle decisioni, di tutti quelli che influenzeranno e saranno influenzati dalle misure adottate, vuoi per adattarsi al cambiamento climatico, vuoi per incrementare la resilienza alla diffusione di malattie infettive emergenti, costituisce un tassello fondamentale per costruire l’accettazione del contesto esterno e rendere le misure efficaci. Le forme di governo e relazione con i cittadini che si auspica si svilupperanno a livello locale per la gestione dell’emergenza sanitaria, per definire le regole di comportamento e trovare le soluzioni alle problematiche che via via si proporranno all’attenzione, saranno forme di governo e di relazione più adeguate anche per affrontare il tema del cambiamento climatico, dell’adattamento e della transizione energetica.

Le affinità esistenti nell’affrontare la crisi climatica e quella sanitaria, non si limitano però solo alla metodologia e agli strumenti. Esistono vere e proprie misure, ad esempio nei piani di adattamento al cambiamento climatico delle aree urbane, che rappresentano anche misure per la riduzione, la gestione e il contenimento delle emergenze epidemiologiche. D’altra parte, la gestione dell’emergenza sanitaria di questi mesi, ha anche evidenziato l’importanza di alcune azioni contingenti che creano benefit dal punto di vista ambientale e, indirettamente, giocano un ruolo importante nella partita di contrasto al cambiamento climatico.

Tra le misure soft, sono ricompresi:
  • gli interventi per l’identificazione, la sorveglianza e l’assistenza ai soggetti fragili, che consentano l’attivazione continuativa del sistema di protezione sociale;
  • l’adeguamento della pianificazione di protezione civile al ruolo e alle attività di supporto che possono essere svolte dal sistema nel suo complesso, anche in modo permanente;
  • l’adozione di forme di lavoro flessibile come lo smart working (quest’emergenza ha dimostrato che è possibile più di quanto si pensasse), dei servizi, del terziario,
  • la proposta di iniziative culturali (musei, biblioteche, cineteche, eventi) e formazione on-line,
  • un piano per le strutture educative presenti sul territorio regionale per favorire la didattica in modo omogeneo, l’offerta a tutti gli studenti le medesime opportunità
  • l’incentivo all’acquisizione di dispositivi tecnologici, dell’attrezzatura per praticare sport indoor in modo autonomo, per la mobilità urbana sostenibile, anche individuale;
  • sburocratizzare i processi che portano all’attuazione degli interventi di adattamento al cambiamento climatico per favorirli e incentivarli;
  • semplificare attraverso la promozione digitale l’accesso ai servizi amministrativi e ai servizi pubblici, incluso quelli sanitari, bancari, assicurativi e specialistici;
  • migliorare e rendere più tempestiva, aggiornata e capillare la comunicazione pubblica,
  • mantenere, potenziare e assicurare il monitoraggio delle componenti ambientali e sociali delle aree urbane.


Tra le misure infrastrutturali, dette hard, rientrano:
  • gli interventi strutturali, permanenti e a larga scala di greening urbano, di reintroduzione della biodiversità in città, il ripristino degli ecosistemi degradati e delle aree dismesse con interventi qualificati che reintroducano la natura nell’urbanizzato in modo preponderante attraverso aree verdi diffuse che consentano la fruizione domestica evitando sovraffollamenti;
  • interventi per l’efficienza energetica, facilitazioni per promuovere il solare e l’energia pulita, attraverso soluzioni compatibili con il tessuto urbano, prevedere forti investimenti sul trasporto pubblico con sistemi di intermodalità innovativa basati sulle caratteristiche della città, del rapporto città / territorio e della sua fruizione;
  • la promozione di interventi di efficientamento energetico a partire dalle strutture pubbliche presenti, valorizzando soluzioni proposte dalla ricerca piemontese;
  • adeguare la banda, favorire l’accesso alle risorse tecnologiche di connessione in modo equo, promuovere iniziative per favorire la diffusione della banda larga nel territorio piemontese e nelle aree interne, in modo da ridurre le necessità di accesso fisico agli agglomerati urbani.
  • dal punto di vista della governance, è importante creare e mantenere una task force permanente con enti sovraordinati per coordinare interventi che vanno dalla mitigazione all’adattamento, alla gestione di emergenze di lungo periodo, che richiedono modifiche comportamentali durature e che coinvolgono tutti i cittadini e la loro amministrazione.
  • mobilitarsi per delineare concretamente le azioni di adattamento al cambiamento climatico, sottolineando quelle misure che più contribuiscono agli obiettivi del Green Deal Europeo e che possono essere intraprese con più forza con la politica del post-emergenza sanitaria, attuarle e portarle a compimento, contribuisce anche ad aumentare la resilienza delle aree urbane alla diffusione delle malattie emergenti. Queste ultime rappresentano una minaccia alla vita e allo sviluppo dell’umanità, intimamente connesse all’ambiente e al clima.


Per concludere
Lo shock macroeconomico legato ai provvedimenti d’urgenza adottati per limitare la diffusione del contagio è stato senza precedenti in tempo di pace. Importanti saranno le conseguenze a lungo termine della pandemia sull’economia mondiale e sulla geopolitica nonché sui comportamenti umani, in particolare sugli spostamenti e sul modo di interagire con l’ambiente circostante.

Non è mai successo che una componente biotica influenzasse in modo così determinante il sistema economico mondiale. La tenuta del sistema produttivo in epoca di pandemia e le azioni che seguiranno per una ripresa che incrementi la resilienza della società, anche rispetto alla diffusione dei virus, non possono che passare attraverso un indirizzo chiaro e forte del governo e delle amministrazioni pubbliche verso l’attuazione delle azioni previste dal Green Deal Europeo per raggiungere, nel 2050, un impatto climatico zero. Per farlo occorre promuovere l'uso efficiente delle risorse passando a un'economia pulita e circolare, ripristinando la biodiversità e riducendo l'inquinamento.
Esiste il rischio concreto che le esigenze di rilancio dell’economia vengano progettate a breve termine per superare i problemi contingenti e meno quelli che verranno. In un momento di basso costo dell’energia e dei combustibili fossili la tentazione del loro utilizzo e incremento è forte e questo può rallentare gli impegni verso la decarbonizzazione, indebolendo gli investimenti più innovativi in energia pulita, dal solare all’auto elettrica, a sostegno di attività produttive più tradizionali. La portata delle perdite della gran parte dei comparti produttivi, forse a eccezione della sola industria alimentare e dell’agricoltura, rischia di impedire una assegnazione di priorità che tenga conto di criteri ambientali.
È una trappola entro cui non bisogna cadere. Le misure di rilancio economico dovrebbero darsi obiettivi di medio-lungo termine, favorendo la transizione verso la produzione di energie a basse emissioni, verso l’efficienza energetica, verso l’innovazione tecnologica, verso modelli di consumo e mobilità più sostenibili.

Effetti sulla qualità dell’aria e sulle emissioni in atmosfera dei provvedimenti legati all’emergenza COVID-19

A partire dal mese di marzo 2020 si è assistito anche in Piemonte a una complessiva diminuzione dei valori di PM10 e biossido di azoto, i due inquinanti atmosferici caratteristici dei mesi invernali. Poiché nello stesso periodo sono stati introdotti, a seguito dell’emergenza coronavirus, provvedimenti di limitazione delle attività economiche e degli spostamenti (con conseguente diminuzione delle emissioni di inquinanti in atmosfera, in particolare quelle legate al traffico) è stato spontaneo chiedersi se esista un legame diretto tra i due fenomeni.
Per rispondere a questa domanda occorre innanzitutto sottolineare che generalmente non si ha un collegamento diretto tra emissioni di inquinanti e le loro concentrazioni in atmosfera, in quanto nel processo intervengono anche le caratteristiche stagionali dell’atmosfera, le forzanti meteorologiche a grande scala e a scala locale, nonché le proprietà ed i processi di trasformazione chimica degli inquinanti stessi. In particolare, la diminuzione dei valori di PM10 e biossido di azoto nel mese di marzo, e ancor più nel mese di aprile, è un fenomeno a cui si assiste ogni anno nelle regioni del bacino padano grazie al mutamento delle condizioni meteorologiche che con l’avvicinarsi della primavera diventano man mano sempre più favorevoli alla dispersione degli inquinanti.

Si è proceduto quindi da un lato a stimare la riduzione emissiva e dall’altro ad analizzare l’andamento delle concentrazioni misurate di inquinanti in questo periodo.
Le misure di contenimento adottate hanno generato una drastica e repentina riduzione di alcune tra le principali sorgenti di inquinamento atmosferico, creando le condizioni per poter testare sul campo alcune delle azioni di contrasto previste dai Piani di risanamento; questo però è avvenuto in un periodo particolare dell’anno, che coincide da una parte con il progressivo spegnimento degli impianti di riscaldamento, dall’altra con le condizioni meteorologiche man mano più favorevoli alla dispersione degli inquinanti. È stato quindi predisposto un rapporto tecnico che prende in esame l’insieme dei dati disponibili (variazioni delle pressioni emissive, meteorologia e stato della qualità dell’aria) per verificare se è possibile evidenziare un effetto aggiuntivo dei provvedimenti legati all’emergenza COVID-19 sulla diminuzione delle concentrazioni degli inquinanti atmosferici rispetto a quanto avviene in di norma nella stagione primaverile.

Figura 2
Stima della riduzione emissiva di ossidi di azoto ripartita tra i principali comparti


Passando poi all’analisi di valori misurati nelle centraline di qualità dell’aria, va ricordato che PM10 e biossido di azoto hanno origini e caratteristiche diverse: per il biossido di azoto, che risponde più rapidamente alle variazioni delle emissioni, il traffico veicolare è di gran lunga la fonte prevalente, mentre nel caso del PM10 il quadro è più complesso: una parte significativa è di origine primaria, cioè emessa direttamente come particolato in atmosfera, principalmente dai processi di combustione, in particolare dalla combustione della biomassa legnosa a scopo di riscaldamento civile; un’altra, altrettanto significativa, è invece di natura secondaria ed è prodotta dalla trasformazione in particolato di sostanze - quali l’ammoniaca, gli ossidi di azoto e i composti organici volatili- emesse originariamente in forma gassosa da una molteplicità di fonti diffuse su un territorio molto vasto1.
Una prima valutazione - necessariamente di tipo qualitativo - degli effetti delle misure di contenimento legate all'emergenza coronavirus sulla qualità dell'aria è stata effettuata prendendo in considerazione una serie storica sufficientemente lunga di dati, per ridurre l’influenza della variabilità delle condizioni meteorologiche sulle concentrazioni degli inquinanti. In particolare, sono stati analizzati gli andamenti giornalieri delle concentrazioni di PM10 e biossido di azoto nelle principali città piemontesi dal primo gennaio alla fine di aprile del 2020 rispetto a quelli misurati nelle stesse stazioni e nello stesso periodo negli anni che vanno dal 2012 al 20192.

Il PM10, in tutte le città piemontesi oggetto dello studio gli andamenti giornalieri dell’anno in corso (linea rossa nella figura 3), mostra una tendenza alla riduzione dei valori a partire dalla fine di febbraio, ma questa tendenza è riscontrabile anche nei dati del periodo di confronto (linea blu e banda azzurra nel grafico); tuttavia, nella prima metà di marzo del 2020, si nota una diminuzione che tende ad essere maggiore rispetto a quanto mediamente osservato negli anni passato, in particolare a Torino. Nella terza settimana del mese si registra invece su tutta la regione un aumento delle concentrazioni, che si portano su valori superiori non solo alla media del periodo, ma, in alcuni casi, anche ai massimi. Tale fenomeno è presumibilmente attribuibile ad una iniziale maggiore attività fotochimica - legata all'aumento dell'irraggiamento solare - che ha portato all'aumento della formazione di particolato secondario combinata con la maggiore stabilità atmosferica originata da un’espansione anticiclonica sull’Europa centrale, con ventilazione bassa o assente, la quale ha favorito l’accumulo di particolato in atmosfera fino al 19 marzo. Dalla giornata successiva il progressivo avvicinarsi di una perturbazione all’arco alpino ha riportato i livelli di PM10 al di sotto della media del periodo su quasi tutta la regione.
È inoltre da notare che nel fine settimana del 28 e 29 marzo si è registrato un anomalo rialzo dei valori di PM10 su tutto il territorio regionale, originato dall'afflusso di polveri caucasiche che sono dapprima giunte nella giornata di sabato 28 nelle zone orientali del Piemonte per poi distribuirsi su tutta la regione nella giornata di domenica 29. Quanto sopra esposto metta bene in evidenza la già citata complessità dei fenomeni che sono alla base della presenza del PM10 in aria ambiente. Nel mese di aprile le concentrazioni di particolato PM10 hanno continuato a diminuire su tutta la regione, portandosi al livello dei valori medi del periodo di confronto.

Figura 3
Andamento delle concentrazioni di polveri sottili alla stazione di Torino Lingotto. Confronto 2020 con il periodo 2012-2019


Nel caso del biossido di azoto, gli andamenti giornalieri dell’anno in corso (linea rossa) rispetto ai valori giornalieri massimi, minimi (banda azzurra nel grafico) e medi (linea blu) del periodo di confronto evidenziano come le concentrazioni medie giornaliere del mese di marzo e del mese di aprile siano inferiori alla media del periodo 2012-2019 e, a partire dalla seconda settimana di marzo, in molti casi anche ai minimi del periodo. Questo comportamento è da attribuire alla riduzione delle emissioni da traffico veicolari conseguenti all’adozione dei provvedimenti legati all’emergenza coronavirus, come confermato dall’analisi degli andamenti temporali delle concentrazioni del monossido di azoto, inquinante esclusivamente primario e tipico tracciante delle emissioni dei veicoli.

Figura 4
Andamento delle concentrazioni di biossido di azoto alla stazione di Torino Consolata. Confronto 2020 con il periodo 2012-2019


In conclusione, la diminuzione delle concentrazioni di PM10 e biossido di azoto nei mesi di marzo e aprile è legata da un lato alle mutate condizioni meteorologiche, che nel periodo primaverile nel bacino padano diventano maggiormente favorevoli alla dispersione degli inquinanti, dall’altro si osserva tuttavia anche un effetto dei provvedimenti di limitazione delle attività entrati in vigore a seguito dell’emergenza coronavirus; tale effetto è evidente per il biossido di azoto, mentre nel caso del PM10 la maggiore varietà di sorgenti e la maggiore complessità dei processi di formazione ed accumulo lo rende meno valutabile ed identificabile. Tali conclusioni sono in accordo con analoghe analisi effettuate nell'ambito del SNPA - Sistema Nazionale di Protezione Ambientale3 4.

Ulteriori approfondimenti tecnici volti a una analisi anche quantitativa del fenomeno sono in corso nell'ambito del progetto Life - prepAIR (Po Regions Engaged io Policies on Air)5 - che vede la partecipazione di tutte le Regioni e le Agenzie ambientali del bacino padano - e del progetto nazionale Pulvirus6 che vede la collaborazione tra le Agenzie del Sistema Nazionale per la Protezione Ambientale, ISPRA, ENEA e Istituto Superiore di Sanità.

Rumore

Una valutazione degli effetti acustici indotti dalle restrizioni imposte a seguito dell’emergenza epidemiologica è stata condotta attraverso l’analisi dei dati acquisiti da 15 postazioni di misura in gestione ad Arpa Piemonte, di cui 11 a Torino e 4 nella provincia di Novara, nell’area di confine con la Lombardia interessata dal decollo degli aeromobili dall’aeroporto di Malpensa.

Rumore urbano a Torino

Il rumore medio da traffico stradale è diminuito di circa 4 dB(A) con l’interruzione delle attività commerciali non essenziali e con la prescrizione per le persone di rimanere in casa. Il decremento ha superato i 5 dB(A) a seguito della chiusura totale, corrispondente ad una diminuzione dei flussi di circa il 70%.

Per le aree soggette alla movida, la diminuzione media dei livelli nel periodo notturno è stata più marcata: dell’ordine di 15 dB(A) considerando tutti i giorni della settimana e fino a quasi 30 dB(A) nei giorni del fine settimana e nel punto più critico. I suoni del vociare delle persone sono del tutto scomparsi ed è cambiato radicalmente il paesaggio sonoro della notte7.

Nel video I suoni che (ci) mancano8, realizzato da Arpa con la collaborazione di Azulfilm, è possibile confrontare immagini e paesaggi sonori della città durante il lockdown rispetto alla precedente normalità.

Figura 5
Variazione media del rumore da traffico veicolare nel periodo del lockdown


Fonte: Arpa Piemonte

Figura 6
Variazione media del rumore da movida nel periodo del lockdown



Fonte: Arpa Piemonte

Rumore dei decolli aerei dall’aeroporto di Malpensa

Nella prima metà del marzo 2020, rispetto al mese di marzo 2019, il numero medio di sorvoli giornalieri rilevati nei punti più esposti è diminuito da 56 a 33, mentre nella seconda metà del mese si è ridotto ulteriormente fino ad arrivare a 6.
In termini di livelli sonori medi indotti dagli aeromobili nel periodo diurno (06-22), si è registrata una diminuzione significativa e variabile a seconda dei punti di misura, da 4 a 7 decibel nella prima parte di marzo e da 7 a 15 decibel nella seconda parte del mese9.
Va ricordato che il livello di rumore in decibel è un parametro di tipo logaritmico: una riduzione di 3 decibel equivale ad un dimezzamento della potenza sonora mentre una diminuzione di 10 decibel corrisponde ad una riduzione del 90%.

Figura 7
Centralina di Pombia. Numero voli, livelli complessivi e livelli sorvoli nel periodo diurno nel periodo del lockdown



Fonte: Arpa Piemonte

COVID-19 e RISORSA ACQUA

La limitazione che l’emergenza sanitaria dovuta al virus SARS-CoV-2 ha imposto alla libera circolazione delle persone e il forte ridimensionamento delle attività produttive, sembra aver liberato spazi a disposizione della natura e migliorato la qualità ambientale.
Se l’aspetto della sofferenza umana di questi giorni ha profondamente toccato ciascuno di noi, la sensazione prima e le foto che circolano sul web dopo, sembrano mostrare una rinascita dell’ambiente naturale.
Sul miglioramento della qualità dell’aria i riscontri sono stati quasi immediati sia dalle foto satellitari dell’ESA sia dalle analisi dell’aria nelle diverse città, ma per avere un dato reale su come sulla situazione ha influito sulla qualità dei corsi d’acqua occorrerà attendere analisi di maggior dettaglio. Da queste sarà possibile avere riscontri sulla modificazione della presenza di inquinanti chimici, anche suddivisi per attività produttive: le attività industriali e quelle agricole, per esempio, hanno subito ripercussioni diverse dal lockdown e gli impatti causati da questi comparti sono facilmente distinguibili, come pure si potrà vedere eventuali modifiche connesse agli scarichi dei depuratori che, in questo periodo hanno diminuito il carico proveniente dal comparto industriale.
Valutazioni potranno essere fatte anche su come, e se, il cambiamento dei consumi di acqua può aver inciso sui deflussi di fiumi e torrenti e se questo ha portato a un miglioramento delle comunità biologiche che sono direttamente o indirettamente connesse agli ambienti fluviali.
I dati rilevati nelle settimane di maggiore chiusura e in quelle di progressiva riapertura saranno importanti per comprendere l’entità delle modificazioni e potranno dare utili indicazioni alle attività di pianificazione sia di comparto, quali il Piano distrettuale di Gestione del bacino del Po e il Piano regionale di Tutela delle Acque, sia di una pianificazione trasversale quale quella per l’attuazione della Strategia regionale di Sviluppo Sostenibile. Sarà forse possibile una valutazione dei vantaggi in termini di servizi ecosistemici che una natura meno sfruttata può offrire.
A partire da questa esperienza, i prossimi mesi saranno importanti per comprendere se sarà possibile attivare una pianificazione e programmazione delle scelte di uso della risorsa innovative, rivolte verso modelli di sviluppo maggiormente sostenibili e solidali.
Il monitoraggio di Arpa e di Asl Torino 1 sulle acque reflue del depuratore SMAT in Torino non ha evidenziato tracce RNA del Coronavirus. Sarà proseguito il monitoraggio, in particolare degli impianti di depurazione, per approfondire l'interazione della COVID-19 con le matrici ambientali.

LA STRAGE DI API

Le api e i pronubi selvatici (insetti impollinatori che trasferiscono il polline da un fiore all’altro) sono considerati essenziali per l’ambiente e per la produzione di una buona parte del nostro cibo. Tuttavia, non tutti li considerano fondamentali. Anche durante questa primavera, in piena pandemia, alcune colture sono state trattate in piena fioritura, nonostante la legge (L 313 del 24/12/04 e LR 1 del 22/01/19) vieti i trattamenti fitosanitari (insetticidi, fungicidi, erbicidi) sulle piante in fiore con presenza di melata e obblighi allo sfalcio preventivo delle eventuali fioriture presenti tra un filare e l’altro e sul bordo della coltura.

Questi episodi ogni anno si ripetono a causa di interferenze con trattamenti, ma in questa situazione di scarsa manodopera in campo agricolo, alcuni proprietari hanno raggiunto i propri obiettivi colturali senza curarsi degli appelli che il settore Fitosanitario regionale rivolge, d’altra parte avevano una maggiore tranquillità per agire nelle campagne in questo periodo.
Le criticità maggiori sono state riscontrate negli areali con prevalenza di noccioleti, specialmente in alcune zone dell’albese e del monregalese in cui è stato utilizzato anche un insetticida concesso in deroga in Piemonte per il trattamento dell’eriofide del nocciolo. In alternativa a questo insetticida, poteva essere utilizzato efficacemente lo zolfo bagnabile, come consigliato da organizzazioni e agronomi: sarebbe stato meno tossico per api e pronubi.

Nello stesso periodo si sono registrati simili problematiche nelle vicinanze di ampie zone coltivate a mais: le api sono letteralmente scomparse dalle colonie nel giro di pochissimi giorni.
Anche il melo sembra esser stato nel centro del mirino per i trattamenti effettuati senza rispettare la fine della fioritura. In alcune zone pare siano stati somministrati insetticidi contro l’afide lanigero senza attendere la completa caduta dei petali dei fiori, così come riportato in etichetta, consigliato dai tecnici agricoli e previsto dalla legge.
Oltre a questi casi, gravi avvelenamenti di alveari sono stati registrati in alcune zone della provincia di Asti e Alessandria. Vittime circa 200 alveari collocati in zone coltivate a colza, probabilmente in seguito a trattamenti insetticidi contro il punteruolo, anche in questo caso senza badare alle piante in fioritura, molto attrattive per api e pronubi selvatici.

Produzione e gestione dei rifiuti nel periodo di emergenza sanitaria

La situazione emergenziale connessa alla diffusione del virus SARS-CoV-2 ha coinvolto pesantemente anche lo svolgimento dei servizi di pubblico interesse quale quello della gestione dei rifiuti a causa della difficoltà dei trasporti e alla riduzione dell’operatività/chiusura delle attività produttive e degli impianti di gestione dei rifiuti.
La Regione Piemonte al fine di garantire una corretta gestione dei rifiuti e il regolare svolgimento delle attività del settore, dal servizio di raccolta fino al recupero e smaltimento finale, nel rispetto dei rapporti pubblicati dall'ISS e sulla base delle indicazioni nazionali, ha fornito nel corso dei mesi trascorsi dei chiarimenti a supporto dei cittadini, degli Enti e degli operatori sui vari aspetti che l'emergenza ha interessato.
Si richiamano in sintesi per argomento le azioni che hanno coinvolto la Regione in tema rifiuti, consultabili sul sito web istituzionale:
  • Disposizioni ai Consorzi di gestione rifiuti e ai cittadini per il conferimento dei rifiuti sulla base delle indicazioni fornite dall’Istituto superiore di Sanità
    • sono state fornite delle specificazioni sul cambiamento temporaneo delle regole in merito alla classificazione, alla raccolta differenziata e alla gestione dei rifiuti prodotti sia dai soggetti positivi, in isolamento o in quarantena obbligatoria da COVID-19, sia per i rifiuti prodotti da utenze domestiche in cui non sono presenti soggetti positivi o in isolamento;
    • centri di raccolta: si è gestita la chiusura e poi la progressiva riapertura in sicurezza dei centri pubblici di raccolta per favorire il conferimento di rifiuti da parte di utenze domestiche e non domestiche;

Le note sono consultabili alla pagina internet della Regione Piemonte.

  • Disposizioni per le attività produttive
    • con DPGR 44 del 15/04/20 è stata emanata l'ordinanza contingibile e urgente (ai sensi del DLgs 152/06 art. 191) del Presidente della Giunta regionale per il ricorso temporaneo a particolari forme di gestione dei rifiuti. Per garantire la continuità delle attività ed operazioni connesse alla raccolta differenziata dei rifiuti, al fine di scongiurare le interruzioni di servizio dovute alla situazione emergenziale COVID-19, l'ordinanza, prevede per un periodo di sei mesi dalla data di assunzione del provvedimento, in deroga alle disposizioni vigenti, la possibilità per gli impianti di gestione dei rifiuti provenienti dalle filiere della raccolta differenziata dei rifiuti urbani, previa comunicazione agli enti competenti, un aumento sia dei tempi sia dei quantitativi di stoccaggio dei rifiuti. Inoltre, sono previste delle deroghe al deposito temporaneo con un raddoppio dei limiti temporali o quantitativi previsti dal DLgs 152/06 che sono consultabili alla pagina della Regione Piemonte
    • sono state inoltre fornite delle indicazioni sulla gestione dei rifiuti costituiti da mascherine e guanti monouso utilizzati all'interno delle attività economiche produttive che sono consultabili alla pagina della Regione Piemonte.

Figura 8
COVID-19 Poster per la raccolta differenziata


Al fine di valutare le conseguenze dell'applicazione delle misure nazionali e regionali di contenimento della COVD-19 sulla produzione dei rifiuti urbani in questo periodo, l'Osservatorio regionale rifiuti ha attivato uno studio specifico finalizzato alla quantificazione della riduzione della produzione dei rifiuti. L'analisi ha messo a confronto i dati rilevati nei primi tre mesi dell'anno; in particolare sono stati messi a confronti i valori medi rilevati nei primi due mesi con i valori rilevati nel mese di marzo 2020. Tale confronto è stato effettuato sia a livello consortile che a livello regionale, tenendo conto della presenza o meno dei rifiuti conferiti presso i Centri di Raccolta.
Il campione analizzato corrisponde a circa il 75% dei residenti piemontesi (15 Consorzi su 21). I valori medi a livello regionale evidenziano un calo generalizzato dei vari parametri analizzati (parametri RU, RD e RT). Se la produzione dei rifiuti indifferenziati è diminuita lievemente (-3%), appena più rilevanti sono stati i decrementi per la raccolta differenziata (RD) - 6 % e per la produzione complessiva dei rifiuti urbani (RT) - 5%; tali riduzioni sono state però più rilevanti nel comune di Torino.
Il dato regionale leggermente più basso rispetto alle stime effettuate a livello nazionale da Ispra. Nel bimestre marzo-aprile 2020 si è infatti stimato che, le disposizioni a seguito dell’emergenza Covid-19 abbiano determinato, per effetto della contrazione dei consumi, una riduzione della produzione dei rifiuti urbani approssimativamente intorno al 10%. In termini quantitativi questo si tradurrebbe in una riduzione dei circa 500.000 tonnellate nel bimestre.

Si segnala, inoltre, il Rapporto ISS COVID-19 n. 9/2020 "Indicazioni ad interim sulla gestione dei fanghi di depurazione per la prevenzione della diffusione del virus SARS-CoV-2. Versione del 3 aprile 2020.” pubblicato sul sito dell’Istituto Superiore di Sanità.

Verifica Strutture Sanitarie

Nell’ambito dell’emergenza da epidemia da Coronavirus sul territorio piemontese, Arpa Piemonte è stata chiamata dalla Regione (con DGR 22-1133 del 13/03/2020) ad effettuare verifiche congiun-te con le Commissioni di Vigilanza di diverse ASL presso le strutture sanitarie private piemontesi che avevano manifestato la disponibilità a riconvertirsi, in tutto od in parte, in centri per il ricovero di pazienti CoViD-19+.
Le verifiche erano finalizzate a riscontrare il possesso da parte di quei Centri dei requisiti minimi che garantissero la sicurezza dei pazienti e degli operatori e accettabili standard di qualità assistenziale.
L’esito favorevole delle verifiche si configurava “ex se” come un provvedimento temporaneo di au-torizzazione e di accreditamento consentendo quindi l’immediata apertura dei Centri ed il ricovero di pazienti CoViD-19 + nei posti letto così attivati (suddivisi in posti di terapia intensiva, di terapia sub-intensiva e di degenza “ordinaria”).
L’attività è stata svolta dall’Organismo Tecnicamente Accreditante (di seguito OTA), individuato dal-la Regione Piemonte nell’Agenzia, che dal 2015 si occupa della verifica dei requisiti di accredita-mento delle strutture sanitarie pubbliche e private, attività peraltro svolta fin dal 2001 nella forma di supporto tecnico dell’Assessorato regionale alla Sanità. Per approfondimenti è possibile consultare la pagina del sito di Arpa Piemonte.
Il 6 aprile è stata pubblicata la notizia sul sito istituzionale dell’Agenzia relativa ai numeri di posti letto individuati nelle varie strutture fino ad allora verificate, che sono ancora ulteriormente aumentati alla luce delle più recenti ve-rifiche svolte fino 24 Aprile 2020.
A tutt’oggi sono state verificate complessivamente 21 strutture (Cliniche private, IRCC e Presidi Ospedalieri), operanti nelle province di Alessandria, Biella, Novara, Torino e Verbania e Vercelli. Eccetto due strutture, tutte le altre sono risultate idonee ad ospitare pazienti COVID-19. In poco più di un mese sono stati effettuati 30 sopralluoghi (in alcune strutture è stato infatti effettuato più di un sopralluogo, per successivi ampliamenti o per verificare la corretta messa a punto di alcuni ade-guamenti organizzativi/strutturali).
Tale attività è stata possibile anche mediante la riconversione e formazione sul campo di personale dell’Agenzia, in possesso di professionalità diverse.
In totale sono stati autorizzati 978 posti letto suddivisi fra terapia intensiva (36), terapia sub-intensiva (57) e posti letto a media/bassa intensità assistenziale (885).
Nella Tabella sottostante e nel grafico a seguire è riportata la ripartizione dei posti letto per Province e per tipologia assistenziale offerta dalle varie strutture.

Tabella 1
Reparti idonei nelle province piemontesi

Province

Intensiva

Subintensiva

bassa intensità

Alessandria

12

4

113

Asti

0

0

0

Biella

0

0

22

Cuneo

0

0

0

Novara

0

5

111

Torino

24

44

463

Verbano-Cusio-Ossola

0

4

156

Vercelli

0

0

20

Totale

36

57

885

Fonte: Arpa Piemonte

EFFETTI DELL’EPIDEMIA SULLA CLASSIFICAZIONE ENERGETICA DEGLI EDIFICI

L’emergenza COVID-19 ha creato le condizioni per un forte incremento del “telelavoro” o del “lavoro agile”: in particolare quelle attività che prima venivano svolte all’interno di un ufficio, sono state, più o meno agevolmente, trasferite presso il domicilio del lavoratore.
In tale scenario si è riscontrato da un lato una riduzione dell’inquinamento atmosferico legato al minore utilizzo dei veicoli a motore, dall’altro un aumento delle emissioni degli impianti di riscaldamento domestici. Per i lavoratori che rimarranno in “lavoro agile” anche durante i mesi estivi, si presenterà inoltre la necessità di raffrescare la propria abitazione o parte di essa, magari installando un nuovo impianto di climatizzazione, che genererà un impatto economico (di gestione, ulteriore rispetto all’investimento iniziale), ed energetico (il fabbisogno di energia elettrica è destinato ad aumentare e di conseguenza la domanda cui dovrà fare fronte la rete elettrica).
Dunque, aumentando la presenza nelle case, i vantaggi in termini di tempo disponibile sono controbilanciati da costi diretti per il lavoratore in termini di energia elettrica e di utilizzo delle attrezzature proprie: in termini economici più che di risparmio si tratta di trasferimento di spesa, mentre in termini di sostenibilità energetico-ambientale si deve valutare qual è l’impatto degli edifici non adatti o meno performanti.
Come evidenziato dai grafici riportati nella sezione Territorio - Risposte - Ambiente Costruito, sia il residenziale sia la quasi totalità delle altre destinazioni d’uso, che sono per lo più frequentati da coloro che vi lavorano, sono caratterizzati da classi energetiche molto basse (E, F e G) e i costi dell’energia e gli sgravi fiscali potrebbero indurre a voler migliorare nel breve periodo. Si osservi infatti che se le spese gestionali di una palazzina ad uffici sono da sempre una voce di costo importante e facilmente quantificabile per l’imprenditore già da tempo propenso ad interventi di efficienza energetica, il privato è del tutto nuovo a questa necessità e richiede un supporto sia tecnico sia economico.
Ciò comporta una riflessione su questo nuovo modello di utilizzo degli spazi residenziali non sempre adeguati e non sempre in grado di garantire soluzioni e impieghi confortevoli con costi paragonabili a quelli delle strutture fino a questo momento utilizzate.
Oggi più di prima emerge la necessità di migliorare le condizioni di comfort degli edifici, soprattutto quelli a destinazione d’uso residenziale perché è ragionevole aspettarsi che il lavoro agile diventi sempre più una realtà per molti lavoratori, le cui mansioni non necessitino di essere svolte in presenza, dunque acquisiscono ancor più importanza le criticità connesse ad edifici poco efficienti, che pur a fronte di una gestione dell’energia costosa (bollette di luce e gas di utenze domestiche appesantite da un utilizzo quotidiano nelle fasce centrali del giorno della fornitura di energia sia elettrica sia termica) ancora non rispondono adeguatamente alle esigenze di comfort.

Lockdown e inquinamento elettromagnetico

L’emergenza epidemiologica ha causato un lockdown nei mesi di marzo, aprile e maggio con una forte riduzione nella mobilità dei cittadini. Questa situazione ha portato ad un incremento nell’uso di strumenti di comunicazione digitale quali applicativi per web conference.

Arpa Piemonte ha misurato il livello del segnale relativo all’aumento del traffico dei sistemi di telefonia e valutato i livelli di esposizione della popolazione ai segnali elettromagnetici emessi da tali sistemi

È stata avviata un’attività di monitoraggio mediante due modalità: controllo da remoto delle potenze degli impianti tramite accesso ed analisi dei data base degli operatori di telefonia mobile; misure in campo con centraline di monitoraggio ed ulteriori approfondimenti tecnici in caso di livelli significativi di esposizione.

Un esempio di incremento di potenza monitorato in corrispondenza dell’inizio del lockdown è riportato nel grafico seguente, dove viene evidenziata la variazione della potenza di un impianto in corrispondenza del periodo febbraio/marzo 2020.

Figura 9
Potenza media giornaliera per una cella monitorata

Fonte: Arpa Piemonte

L’analisi delle potenze effettuata su un campione di circa 1.200 impianti (per un totale di circa 10.000 celle), ha evidenziato gli incrementi che sono riportati nelle figure seguenti. L’aumento della potenza media degli impianti è stato, nella maggior parte dei casi contenuto entro il 50% mentre in un numero più limitato di situazioni si sono raggiunti incrementi più elevati. Gli impianti interessati dall’aumento di potenza sono risultati prevalentemente quelli con sistemi di quarta generazione (4G).

Figura 10
Incrementi di potenza rilevati su un campione di stazioni radio base per telefonia mobile


Fonte: Arpa Piemonte

Figura 11
Distribuzione della variazione di potenza



                                                                                                Fonte: Arpa Piemonte

Il grafico rappresenta il numero di impianti, in percentuale sul totale, che ha avuto una variazione di potenza inferiore ad un certo valore. Ad esempio la metà degli impianti (50 %) ha avuto un aumento inferiore al 30%. I valori negativi si riferiscono ad impianti che hanno subito una riduzione di potenza.

Gli incrementi rilevati hanno riguardato tutti gli operatori e l’intero territorio regionale. Alcune aree sono state interessate da innalzamenti nella potenza degli impianti percentualmente più elevati. Si tratta, in particolare delle regioni del territorio con coperture più limitate dei segnali e, quindi, con impianti caratterizzati inizialmente da potenze più basse. Nella mappa seguente si riportano le aree comunali con i corrispondenti incrementi medi nella potenza degli impianti.

Figura 12
Incrementi medi percentuali della potenza media degli impianti nelle diverse aree comunali


Fonte: Arpa Piemonte

Per valutare le conseguenze di questi aumenti di potenza sull’esposizione della popolazione occorre considerare i valori della potenza degli impianti e il contesto urbano nel quale sono inseriti. Se i valori iniziali di potenza sono molto bassi rimarranno poco significativi anche a seguito di incrementi percentualmente elevati. Ad esempio, passare da una potenza di 2 W ad una di 4 W corrisponde ad un incremento del 100%, ma il valore raggiunto a seguito di questo incremento è comunque non significativo per l’impatto elettromagnetico dell’impianto.

In relazione all’importanza del contesto urbano in cui è inserito l’impianto per telecomunicazione, consideriamo l’esempio riportato di seguito dove viene rappresentata la mappa del livello di campo elettromagnetico nell’intorno di un impianto che ha subito un incremento di potenza del 34%, ovvero di 6.64 W. A seguito di questo incremento, il livello massimo di campo elettrico nelle aree accessibili alla popolazione, che è rilevabile al 9° piano dell’edificio evidenziato nella mappa, passa da 5 V/m a 5,3 V/m. L’aumento in termini di massimo campo elettromagnetico a cui è esposta la popolazione risulta pertanto molto contenuto.

Figura 13
Mappe dei livelli di campo elettromagnetico emessi da un impianto prima del lockdown (sinistra) e a seguito di un incremento della potenza del 34% (destra)


 Fonte: Arpa Piemonte

Le considerazioni sopra riportate spiegano i risultati ottenuti da valutazioni effettuate sull’intero territorio regionale, da cui è emerso che gli incrementi di potenza rilevati sugli impianti per telefonia mobile a seguito del lockdown 
non hanno dato luogo ad aumenti significativi nei livelli di esposizione della popolazione. Dalla stima della percentuale di popolazione esposta in determinate classi di valori di campo elettrico sono risultati, infatti, solo minimi incrementi, pari a circa l’1%, della popolazione esposta nelle classi di valori comprese tra 0,5 V/m e 3 V/m e tra 3 V/m e 6 V/m a seguito dell’incremento medio di potenza attribuibile al lockdown.

Figura 14
Percentuale di popolazione esposta a determinati livelli di campo elettromagnetico (< 0,5 V/m; tra 0.5 V/m e 3 V/m; tra 3 V/m e 6 V/m; > 6 V/m) prima e dopo il lockdown


Fonte: Arpa Piemonte

Le stime sui bassi incrementi dei livelli di esposizione che abbiamo riportato sopra si riferiscono ai livelli medi sul territorio regionale. Al fine di verificare tali stime ed evidenziare eventuali situazioni anomale che si discostano dalla media, sono state organizzate delle campagne di misura con centraline di monitoraggio in grado di acquisire dati in continua e scaricarli in remoto ad un centro di controllo. Tali campagne sono state realizzate nei siti più critici dove, a causa della presenza di livelli di esposizione già elevati, incrementi anche minimi possono dare luogo a sforamenti dei limiti di legge. Un esempio significativo è quello riportato nei grafici seguenti, dove è illustrato l’esito del monitoraggio in un sito dove il livello di campo elettrico nel periodo 19-29 maggio ha raggiunto livelli superiori al valore di attenzione di 6 V/m.

Le campagne di monitoraggio avviate nel periodo di lockdown, hanno interessato otto siti e proseguiranno anche nel periodo successivo al fine di analizzare, in diverse aree urbane. l’andamento dell’esposizione nelle differenti fasi di limitazione della mobilità fino al ritorno ad una condizione di normalità.

Figura 15
Valori di campo elettrico mediati su 6 minuti, da confrontarsi con il limite di esposizione di 20V/m


Fonte: Arpa Piemonte

Si osservi il tipico andamento giorno-notte dovuto al traffico connesso alle stazioni radio base per telefonia mobile

Figura 16
Valori di campo elettrico mediati sule 24 ore, da confrontarsi con il valore di attenzione di 6V/m


Fonte: Arpa Piemonte

Conclusioni

L’incremento del traffico sugli impianti per telefonia mobile, dovuto ad un uso più intensivo di sistemi di comunicazione digitale e trasmissione dati nel periodo di lockdown, ha riguardato prevalentemente i sistemi 4G (tecnologia LTE) e ha dato luogo ad un aumento non significativo nei livelli medi di esposizione a campi elettromagnetici della popolazione piemontese.

Sono state attivate, già nella fase 1 del lockdown, delle campagne di misura con centraline di monitoraggio in continuo nei siti potenzialmente più critici al fine di controllare possibili sforamenti dei limiti indotti dagli incrementi di traffico. Al momento, è stato individuato un sito con il superamento del valore di attenzione di 6 V/m da validare, ai sensi della normativa, con misure in banda stretta. L’individuazione di tali possibili superamenti dei limiti dà luogo alla riduzione a conformità degli impianti interessati secondo le normative vigenti.

Altre ricadute dovute all'emergenza sanitaria

La formazione professionale

A causa della pandemia di Covid-19 tutte le attività di formazione professionale sono state sospese a partire dal 24 febbraio 2020. La Regione Piemonte si è però attivata per consentire la prosecuzione o l'avvio delle lezioni e delle azioni collegate (tutoraggio, sostegno, stage ecc.) con la modalità della formazione a distanza; con DD n. 127 del 3/04/2020, infatti, sono state autorizzate e regolamentate le attività in F.aD. per tutte le tipologie di formazione, mentre già dall'8/03/2020 la formazione a distanza era stata prevista per i corsi di formazione di durata uguale o superiore a ottocento ore.

Piemonte Parchi

Con l’emergenza dettata dalla pandemia COVID-19, le iscrizioni alla newsletter e i follower sulle varie piattaforme social sono incrementati di almeno un 10%. Complice, probabilmente, il maggiore tempo a disposizione - e quindi anche quello da dedicare alla lettura e alla navigazione online - dei lettori.

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Per approfondimenti sulla qualità dell’aria

1 http://www.arpa.piemonte.it/news/inquinamento-da-particolato-pm10-le-fonti
http://www.arpa.piemonte.it/news/la-qualita-dell2019aria-a-torino-durante-l2019emergenza-coronavirus
http://www.arpa.piemonte.it/news/la-qualita-dell2019aria-in-piemonte-durante-l2019emergenza-coronavirus
http://www.snpambiente.it/2020/03/23/pianura-padana-biossido-di-azoto-no2-graduale-riduzione-della-concentrazione-nelle-ultime-settimane/
https://www.arpalombardia.it/Pages/Qualità%2Ddell’aria%2Ddurante%2Dl’emergenza%2DCovid%2D19%2C%2Dl’analisi%2Ddi%2DArpa%2DLombardia%2D%2Easpx
https://www.lifeprepair.eu/index.php/2020/04/04/8347/
https://www.snpambiente.it/2020/04/29/coronavirus-enea-iss-e-snpa-lanciano-progetto-pulvirus-su-legame-fra-inquinamento-e-covid-19/

Per approfondimenti su rumore

Articolo “Emergenza Covid-19: sensibile riduzione dell'inquinamento acustico a Torino”. Sito web Arpa Piemonte, 03 aprile 2020
Video “I suoni che (ci) mancano” – Canale YouTube Arpa Piemonte
Articolo “Emergenza Covid-19: variazione del rumore dell'aeroporto di Malpensa in Piemonte”. Sito web Arpa Piemonte, 14 aprile 2020